È sbagliando che s’impara, lo dicevano già i latini. Ma nella nostra società che ci vuole super-performanti le cantonate inducono a una condanna senza appello. Un libro del professor Piero Martin riabilita l’errore non solo per i suoi effetti educativi. Ma anche perché per eterogenesi dei fini ha partorito scoperte utilissime. Eccone un elenco. Dal Viagra alle canzoni di Sting
Errando discitur, sbagliando s’impara, lo dicevano già i nostri avi latini. Peccato che quella constatazione di buon senso popolare abbia poca cittadinanza nella nostra società super-performante in cui l’errore è uno stigma e chi lo commette è bollato senza appello. Nella riprovazione non c’è secondo grado o Cassazione. Eppure la perfezione non è di questo mondo come sempre i latini ci hanno insegnato con un’altra lapidaria massima, errare humanum est, semmai perseverare è diabolico.
Lo sa bene la scienza che procede per correzioni di credenze “esatte” fino a prova contraria ed ha per sua stessa missione, come fosse un manifesto programmatico, il confutare continuamente assunti assodati se le sue scoperte producono prove inconfutabili capaci di scardinare l’ordine costituito e mettere in discussione persino padri riconosciuti del sapere.
Basti rievocare la vicenda, raccontata anche in un film del 2008 peraltro controverso per alcune licenze storiografiche di troppo, del professor Arthur Stanley Eddington, responsabile dell’astronomia teorica e sperimentale a Cambridge a cavallo della prima guerra mondiale, che sconfessò “l’intoccabile” connazionale Isaac Newton e con le sue ricerche contribuì ad avvalorare la tesi sulla relatività di Albert Einstein allora nemico in quanto tedesco e direttore dell’istituto di fisica dell’università di Berlino.
E qui, per la terza volta, vengono ancora in soccorso i latini: «Amicus Plato, sed magis amica veritas». Nemmeno il trovarsi su opposti fronti bellici può fermare alla frontiera la sete dell’uomo alla ricerca della verità. In questo senso siamo debitori a san Tommaso nell’eterno dissidio tra fede e scienza. Solo comportandoci come lui abbiamo superato il biblico “fermati Sole” e scoperto con Galileo che è la Terra a girargli attorno e non viceversa.
Proprio perché ne hanno confidenza, non è un caso che sia proprio uno scienziato a interrogarsi, in un libro, sul tema dell’errore, su quanto una cantonata possa essere proficua ed aprire a nuove conoscenze, su come dovremmo essere indulgenti, nel campo della professione come nella vita privata, con chi sbaglia.
Il professor Piero Martin lo conoscete perché scrive su queste pagine, è ordinario di fisica sperimentale a Padova, distaccato al Centro Interdisciplinare dell’ Accademia dei Lincei, coordinatore della fisica del DTT, il progetto italiano per la fusione nucleare, ha appena pubblicato per Laterza Storie di errori memorabili.
Con onestà premette di essere stato mosso da un’analisi su sé stesso, sugli svarioni che gli sono capitati e, per consolazione, verrebbe da ribattergli “come a tutti”. Nessuno è immune.
Il clamoroso Viagra
Nella carrellata che ne segue, lunga 180 pagine, Martin privilegia il proprio ambito senza disdegnare incursioni in esempi più popolari. Valga per tutti il caso del Viagra. Pfizer aveva varato un progetto di ricerca di nuovi farmaci per la cura della patologia cardiovascolare.
Nei laboratori fu sintetizzata la molecola del Sildenafil, con lo scopo di favorire la dilatazione dei vasi sanguigni. Durante la sperimentazione umana un infermiere constatò che i volontari si sdraiavano sul lettino a pancia in giù durante la visita. Era l’imbarazzo causato da un’erezione prolungata. Il Sildenafil non faceva bene al cuore ma al pene. E così si è allungata la vita sessuale di milioni di maschi.
Un caso clamoroso di eterogenesi dei fini, non isolato tuttavia. Si può supporre che il rigore sbagliato da Antonio Cabrini nella finale del campionato del mondo di calcio del 1982 produsse negli azzurri una moltiplicazione degli sforzi per vincere la partita contro la Germania e sollevare dal rimorso il loro compagno. Cosa che successe e il capitano Zoff alzò la Coppa.
Sting e Colombo
Che dire di Sting? Lasciamo parlare il leader dei Police: «Stavo per cantare il primo verso quando ho notato un pianoforte verticale accanto al microfono. Mi sentivo stanco, quindi mi sono seduto. Il coperchio della tastiera era aperto e ho finito per interpretare questo incredibile accordo con il mio sedere.
Era quella sorta di cluster atonale che funzionava davvero bene in contrasto con gli accordi che stavano suonando. Abbiamo pensato che fosse divertente, quindi l’abbiamo lasciato nella registrazione». L’attacco della fortunata Roxanne fu letteralmente «un colpo di culo».
Tutti sappiamo che il desiderio di Cristoforo Colombo di arrivare via mare in India portò alla scoperta dell’America. Se ne duole Roberto Benigni nell’irresistibile Non ci resta che piangere, al punto che, precipitato per magia nel 1492, cerca di raggiungere la Spagna per fermare il navigatore, impedire che raggiunga il nuovo mondo, cambiare il passato e salvare la sorella Gabriella da un amore sfortunato con uno statunitense. Ma al netto dei crucci personali del nostro premio Oscar, la rotta sbagliata ha prodotto alcuni vantaggi: chi ci avrebbe salvato da Hitler?
Essere liberi
Karl Popper sosteneva: «Evitare errori è un ideale meschino. Se non osiamo affrontare problemi che siano così difficili da rendere l’errore quasi inevitabile non vi sarà alcuno sviluppo della conoscenza». Bisogna essere liberi di sbagliare. E consolarsi pensando che anche ad Albert Einstein, il genio più riconosciuto tanto da diventarne un emblema pubblicitario, capitò almeno due volte e sullo stesso tema.
Scrisse la teoria della Relatività generale in un contesto in cui l’universo era considerato statico ma dai suoi argomenti statico non era affatto bensì in movimento e in espansione. Così introdusse una correzione, la costante cosmologica. Poco dopo si dimostrò l’espansione e Einstein dovette togliere la correzione. Salvo reintrodurla di nuovo davanti all’evidenza della velocità crescente dell’espansione.
Si corresse Einstein. Si corresse anche Enrico Fermi. Nel 1938, durante la lectio magistralis di accettazione del premio Nobel, riferì di aver trovato elementi transuranici, più pesanti dell’uranio cioè. Si trattava invece della fissione del nucleo. Aggiunse una nota a piè di pagina per smentire se stesso.
Perdonare Gelmini
Quando si diffuse la voce che dei neutrini sparati dal Cern di Ginevra erano stati captati sotto il Gran Sasso dopo aver corso più veloci della luce, cosa ritenuta impossibile, la comunità scientifica restò a bocca aperta. Ma il risultato sembrava così impossibile da suscitare uno scetticismo montante che indusse a cercare l’errore nel test.
E lo si trovò: un banale connettore difettoso. Resterà a memoria di quelle incredibili giornate la gaffe clamorosa di Maria Stella Gelmini, all’epoca ministro dell’Istruzione. Nel congratularsi fece riferimento a un fantascientifico tunnel tra la Svizzera e l’Abruzzo «attraverso il quale si è svolto l’esperimento».
Seguendo il filo dei ragionamenti di Piero Martin, anche Maria Stella Gelmini, nonostante l’aggravante del ruolo che ricopriva, merita tolleranza. E chissà se la sua non è stata altro che preveggenza. Prima o poi magari verrà costruito un tunnel lungo 730 chilometri. A patto che sia utile a qualcosa, oggi non è che manchino le conoscenze per farlo, mancherebbero i denari.
Essendo impossibile evitarli, il segreto è fare buon uso degli errori. Prenderli così, senza farne un dramma come suggeriva Lucio Battisti e come raccomandava Gianni Rodari: «Vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo?».
Storie di errori memorabili (Laterza 2024, pp. 200, euro 18) è un saggio di Piero Martin
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