Dal punto di vista del lavoro, la pandemia ha colpito in maniera più grave i giovani: insieme alle donne sono stati fin da subito individuati come i grandi sconfitti della crisi innescata dal Covid-19. A conferma arrivano i dati pubblicati dall’Istat sul mercato del lavoro, diciotto mesi dopo l’inizio della pandemia risulta ancora evidente come i giovani stiano facendo molta più fatica a riprendersi.
La crisi dell’occupazione giovanile in Italia, da sempre caratteristica del nostro paese nel confronto con gli omologhi europei, ha cominciato ad aggravarsi dopo la grande recessione del 2008, quando il numero di occupati tra 15 e 24 anni ha cominciato a ridursi senza mai più tornare ai livelli pre-crisi.Il problema non riguarda solo i giovanissimi: il numero di occupati tra chi ha meno di 50 anni non è mai più tornato sopra i livelli pre-crisi, ma i 15-24enni hanno subito il calo peggiore.
In generale, i nati dalla seconda metà degli anni Ottanta in poi hanno avuto molte meno possibilità occupazionali rispetto alle generazioni precedenti, soprattutto rispetto a chi oggi ha più di 50 anni. La classe di età degli over-50, infatti, è stata l’unica ad aver registrato una crescita dell’occupazione in termini assoluti negli ultimi 13 anni. Questo risultato dipende sicuramente da una questione demografica - la popolazione italiana invecchia e dunque invecchiano anche i suoi occupati che si spostano verso fasce di età superiore - ma le diverse tutele offerte a chi è entrato nel mercato del lavoro prima degli altri giocano anch’esse un ruolo fondamentale. La maggior parte dei lavoratori con almeno 45 anni è stata assunta con contratti a tempo indeterminato, che di fatto «blindano» la posizione lavorativa, mentre chi si affaccia sul mercato del lavoro per la prima volta riceve nella maggior parte dei casi un contratto a tempo determinato: nel quarto trimestre del 2020 i dipendenti tra 15 e 24 anni con un contratto a termine erano il 59,5 per cento del totale, il 62,2 per cento nello stesso periodo del 2019. Certo, è naturale che chi si approccia per la prima volta al mondo del lavoro non ottenga subito un posto fisso, ma nel 2004 solo il 35 per cento dei giovani si trovavano in questa situazione. Al problema dell’occupazione poco stabile, si aggiunge quello della sottoccupazione: il 35 per cento dei lavoratori part-time tra 15 e 34 anni lavorano a tempo parziale non per loro scelta; vorrebbero lavorare a tempo pieno, ma non trovano un impiego che glielo consenta. Guardando la media per tutte le età, la percentuale è di 10 punti percentuali in meno (il 24,6 per cento).
L’impatto della pandemia
Le dinamiche che si sono manifestate negli ultimi 13 anni si sono ripetute in maniera ancora più grave nel corso della crisi pandemica. Tra gennaio e dicembre 2020, il numero di occupati tra 15 e 24 anni è calato del 14,3 per cento, contro il -2,8 per cento a livello generale, il -4,9 registrato nella classe di età 25-34, il -3,7 dei 35-49enni e addirittura il +0,5 degli over 50. A un anno e mezzo dalla fine della pandemia, la situazione non è molto diversa: per i più giovani, manca ancora all’appello il 7 per cento degli occupati, mentre l’occupazione degli over 50 ha continuato a crescere. La disoccupazione giovanile continua a rimanere a livelli molto elevati e la pandemia ha ridotto il divario tra la media generale e il dato per i laureati: nel corso del 2019, la situazione per chi aveva una laurea era migliorata, con un tasso di disoccupazione giovanile di 11 punti percentuali inferiore rispetto alla media dei 15-24enni. Ma la pandemia ha riportato i due dati a livelli simili.Alla schiera di disoccupati – giovani che non hanno un lavoro, ma lo stanno cercando – si aggiungono tutti quei ragazzi e quelle ragazze che hanno rinunciato alla ricerca di un impiego e si trovano senza niente da fare. Si tratta dei Neet, giovani che non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione. Nella fascia di età tra 15 e 24 anni sono il 19 per cento del totale, il dato più alto in Unione Europea. Dati così sconcertanti, anche alla luce della crisi pandemica, non rappresentano solo una minaccia per il presente, ma anche per il futuro: l’inattività, il lavoro discontinuo, i bassi salari e le poche ore lavorate avranno per esempio serie conseguenze sulla carriera contributiva dei giovani di oggi. Pagare nessuno o pochi contributi oggi significa avere nessuna o poca pensione domani, con conseguenze devastanti per la stabilità e la sicurezza sociale. L’emergenza giovani diventa sempre più emergenza ogni anno che passa.
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