Nel 2020, la pandemia ha sconvolto l'economia mondiale, tagliando l'attività manifatturiera e i consumi – con impatti su offerta, domanda e logistica. Il commercio marittimo internazionale è diminuito di quasi il 4 per cento in un solo anno. Più recenti, sono gli effetti della pandemia sulla catena di approvvigionamento (“supply chain” in inglese): il processo che consente di far arrivare un prodotto dal produttore al cliente finale. Ovunque essi siano nel mondo.
Le catene di approvvigionamento globali quindi, dipendenti dal trasporto merci, sono state così state interrotte da restrizioni di viaggio e quarantene progettate per fermare la diffusione del Covid-19. Molti porti sono stati obbligati a chiudere e le spedizioni sono state cancellate. Nel 2020 Los Angeles, il porto più trafficato degli Stati Uniti, ha registrato una riduzione di quasi il 20 per cento dei volumi di carico di spedizione rispetto al 2019.
Il rimbalzo del commercio, combinato con le restrizioni indotte dalla pandemia nelle operazioni logistiche portuali, ha portato a carenze di attrezzature e container, insieme a servizi meno affidabili, porti congestionati e ritardi e tempi di sosta più lunghi.
Il commercio internazionale
Come ha sottolineato in un recente intervento pubblicato su Project Syndacate l’economista americano Daron Acemoglu, il problema delle catene di approvvigionamento è sempre stato l’ultimo dei problemi dei politici di tutto il mondo. Eppure, il blocco del commercio mondiale, i ritardi nella produzione e l’aumento dell’inflazione, i problemi alle catene di approvvigionamento sono ormai evidenti a tutti.
È in quest’ottica, che vanno lette politiche come l’executive order emanato nel febbraio 2021 con cui gli la Casa Bianca obbligava alcune agenzie federali a garantire e rafforzare la catena di approvvigionamento del paese). Politiche nazionali che vengono introdotte da vari governi per gestire sempre più le problematiche attuali del commercio internazionale. Un commercio, soprattutto quello via mare, che è diventato negli anni un mercato sempre più in mano a poche grandi aziende. Secondo un recente studio pubblicato dell’Ocse, l'industria del trasporto marittimo di container si è infatti trasformata sempre più in un'industria ad alta concentrazione: se nel 1998 le prime 4 aziende di trasporto internazionale registravano una quota di mercato inferiore al 20 per cento, questa quota è aumentata fino a quasi il 60 per cento nel 2018. Per esempio, la quota di mercato del più grande vettore, Maersk, è del 19 per cento nel 2018. In confronto, la domanda è altamente frammentata: anche i più grandi clienti (come le grandi multinazionali o aziende di spedizioni globali) raggiungono non più del 2 per cento della domanda totale.
I prossimi passi
La pandemia ha sottolineato come la situazione del commercio internazionale sia fragile e il suo equilibrio precario, soprattutto in un’economia interconnessa come la nostra in cui la produzione di un bene può dipendere da un numero assai elevato di fornitori sparsi in tutto il mondo.
Così come troviamo alcuni paesi più avanti di altri nel vaccinare la propria popolazione, anche la ripresa del commercio mondiale è a singhiozzo. E la diffusione della variante Omicron non fa che aumentare l’incertezza.
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