Dopo un anno, in pochi ormai credono nella possibilità di eliminare velocemente il Covid-19. In Italia la possibilità della fine della pandemia viene stimata, in media, per l’autunno del 2022
- Abbiamo vissuto un anno con il Covid-19. Stiamo entrando nella seconda primavera in presenza della pandemia e anche quest’anno rischiamo di vedere la natura che si risveglia dal chiuso delle case.
- Ipsos global advisor ha pubblicato a Washington, a fine febbraio, i risultati della ricerca Covid-19 one year on: perceived threats and expectations in 8 countries, realizzata in Australia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Russia, Regno Unito e Stati Uniti.
- In quasi tutti i paesi emerge un tratto pessimistico sulle reali possibilità di spazzare via velocemente il Covid-19, con quote non secondarie di disillusi che dubitano della reale possibilità di sconfiggere il virus.
Abbiamo vissuto un anno con il Covid-19. Stiamo entrando nella seconda primavera in presenza della pandemia e anche quest’anno rischiamo di vedere la natura che si risveglia dal chiuso delle case. Lockdown, mutamenti negli stili di vita e nelle abitudini hanno coinvolto gran parte dei paesi, costringendo le persone a fare i conti con l’incedere di un nemico pericoloso e invisibile.
Ipsos global advisor ha pubblicato a Washington, a fine febbraio, i risultati della ricerca Covid-19 one year on: perceived threats and expectations in 8 countries, realizzata in Australia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Russia, Regno Unito e Stati Uniti.
L’affresco che emerge dall’indagine globale è a tinte fosche.
La battaglia sarà lunga
In quasi tutti i paesi emerge un tratto pessimistico sulle reali possibilità di spazzare via velocemente il Covid-19. La percentuale di cittadini che ritiene possibile una veloce sconfitta della pandemia è ormai una minoranza, che si è andata assottigliando rispetto a un anno fa. Solo in Australia gli ottimisti risultano in aumento, passando dal 19 per cento di febbraio 2020 al 24 per cento di gennaio 2021.
Negli Stati Uniti il tasso di speranzosi è rimasto fermo da un anno all’altro (21 per cento), mentre in tutti gli altri paesi la sparuta schiera di ottimisti è andata scemando. In Russia i fiduciosi sono scesi dal 33 al 24 per cento. In Germania sono calati dal 20 per cento al 15. In Francia sono scivolati dal 16 per cento al 9, mentre nel Regno Unito si è passati dal 16 al 10 per cento. In Giappone il numero degli ottimisti è calato dal 15 al 9 per cento, mentre in Canada il dato si è ristretto dal 15 all’11 per cento.
Nei diversi paesi si è fatta strada la convinzione che la battaglia col Covid-19 sarà lunga, con quote non secondarie di disillusi che dubitano della reale possibilità di sconfiggere il virus. Un pessimismo che coinvolge il 37 per cento dei giapponesi, un quarto di francesi e australiani, il 20 per cento di tedeschi e inglesi, nonché il 19 per cento dei russi. Meno rassegnati appaiono solo americani e canadesi (15 per cento).
La maggioranza dei cittadini, con percentuali che oscillano tra il 54 per cento dei francesi e il 67 per cento dei canadesi, prevede una durata di almeno altri sei mesi del conflitto contro il virus.
E gli italiani? Nel nostro paese prevalgono i sentimenti negativi. La previsione media fatta dai cittadini colloca la fine della pandemia all’autunno 2022 (ancora 17 mesi), con oltre un sesto dell’opinione pubblica che ipotizza una lotta di anni contro il virus.
Fattore rischio
Alla base del pessimismo dell’opinione pubblica degli otto paesi monitorati e degli italiani, c’è la crescita della consapevolezza del livello di pericolosità del Covid-19 per la propria nazione.
Nel febbraio del 2020 il livello di rischio medio-alto per la propria nazione era avvertito dal 49 per cento dei giapponesi, dal 33 per cento degli americani, dal 26 per cento dei russi, dal 22 per cento dei francesi, mentre tra tedeschi, canadesi e inglesi il livello di apprensione era al di sotto del venti per cento.
Un anno dopo il quadro è radicalmente mutato. Solo in Australia la sensazione di pericolosità del Covid-19 è calata, passando dal 39 per centro dello scorso anno al 29 di gennaio 2021.
Tra gli inglesi la coscienza della pericolosità ha fatto un salto di 57 punti, arrivando al 76 per cento di oggi. Seguono i francesi (più 50 punti, attestandosi al 72 per cento), i canadesi (più 44 punti, toccando quota 61 per cento), i tedeschi (più 43 punti, giungendo al 59 per cento) e gli americani (più 31 punti, collocandosi al 64 per cento). In Giappone il livello di allarme è fra i più alti (72 per cento), mentre in Russia l’aumento è stato di 22 punti, arrivando al 48 per cento.
Tra gli italiani la coscienza del rischio del Covid-19 per il paese è al 76 per cento. Un dato che colloca il nostro paese in vetta alla classifica, insieme al Regno Unito.
Il consolidamento dei livelli di coscienza della pericolosità del virus per il proprio paese non marcia di pari passo con la coscienza della minaccia rispetto a sé stessi. Anzi, in tutte le realtà monitorate, è presente un effetto presbiopia: alta coscienza della dannosità per il paese, medio-bassa consapevolezza delle pericolosità per sé stessi.
L’effetto presbiopia è marcato in Francia, con 46 punti di differenza tra quanti avvertono il pericolo del virus per sé stessi (26 per cento) e quanti avvertono il rischio per il paese (72 per cento). Ampia la forbice anche nel Regno Unito, con 42 punti di differenza (34 contro 76). Al terzo posto si colloca l’Italia, con 34 punti di distacco (42 per centro contro 76).
In Giappone la differenza è di 29 punti (43 contro 72); in Germania è di 31 punti (28 contro 59) e negli Usa il distacco è di 33 punti (31 contro 64). Una presbiopia che rafforza le forme di insofferenza per mascherine e distanziamento e genera la spinta all’assembramento che abbiamo osservato in queste ultime settimane.
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