Per il 64 per cento degli italiani questa parola significa vivere in una realtà in cui si affrontano insieme le difficoltà per raggiungere una condizione migliore per tutti
L’essere parte di una comunità risponde a esigenze di appartenenza, identità, sostegno reciproco, condivisione di valori e sviluppo individuale che sono radicate nella natura intrinsecamente sociale dell'essere umano.
Nel corso degli ultimi decenni il senso di appartenenza alla comunità ha subito diverse evoluzioni abbracciando sia il valore della comunità come «tetto sotto il quale ripararsi quando piove molto», come affermava il sociologo polacco Zygmunt Bauman; sia la ricerca di nuove forme relazionali per soddisfare bisogni emotivi, scambiare supporto reciproco e collaborare per raggiungere obiettivi comuni. La comunità è un concetto pendolo tra gli italiani e oscilla tra quanti hanno una visione localista e protettiva (48 per cento) e una visione più aperta e includente (52 per cento).
Tempi incerti
La spinta serrante più arcigna, caratterizzata da quanti pensano che sia meglio vivere in comunità fatte di persone simili per cultura, tradizione, lingua, religione, senza stranieri sfiora, però, il 45 per cento degli italiani. Siamo in tempi incerti, in cui il susseguirsi di crisi e fattori di rischio (sociali, ambientali, economici, sanitari) alimentano il bisogno di protezione, di ambienti sicuri e, in qualche modo, sterilizzati da quanto può essere percepito come un problema.
Non a caso per il 94 per cento degli italiani vivere in una comunità vuol dire abitare in un luogo sicuro, privo di pericoli e per il 78 per cento significa difendere le tradizioni e seguire le consuetudini. Su questa dimensione saracinesca e conservatrice del concetto di comunità si innesta anche un profondo senso nostalgico. Per il 62 per cento del paese «un tempo il mondo era un posto molto migliore».
Come gran parte dei concetti legati all’esistenza sociale anche le dimensioni del senso comunitario sono ondivaghe, oscillanti, con tratti ossimorici. A fronte di un quadro serrante, nostalgico, conservativo, si erge anche una spinta comunitaria orientata a riscoprire il valore della comunanza, dello stare insieme, dell’umanesimo.
Il 65 per cento si dice intensamente interessato alle altre persone; per il 64 per cento comunità significa vivere in una realtà in cui si affrontano insieme le difficoltà per raggiungere una condizione migliore per tutti; per il 68 per cento soltanto le comunità contribuiscono a dare risposte ai bisogni delle persone e per il 67 per cento solamente le comunità sono in grado di limitare le ricadute negative delle differenze sociali.
Nelle viscere della società, come emerge dai dati dell’osservatorio Fragilitalia del centro studi Legacoop e Ipsos, è in corso un confronto titanico tra due contrapposte visioni della comunità. Se il periodo antecedente al Covid aveva fatto nettamente pendere il pendolo verso una visione conservativa e chiusa, il post Covid ha spostato l’asse verso il bisogno di nuove forme relazionali, verso la ricerca di nuove connessioni e condivisioni.
L’89 per cento afferma di sentirsi bene quando collabora con gli altri; per l’81 per cento è un piacere passare del tempo con gli altri; per il 91 per cento è importante aiutare le persone che ci circondano e prendersi cura di loro; per il 58 per cento la collettività in futuro conterà sempre di più rispetto all’individualismo e, infine, per il 71 per cento in futuro le reti di prossimità si rafforzeranno.
Lavoro e salute
Nel cuore della società aleggia una spinta neo-comunitaria i cui valori sono: solidarietà (67), onestà (51), inclusione (46), fiducia (35), multiculturalità (24), difesa delle tradizioni (23) e legami (22). Le principali priorità di questa spinta sono: garantire un lavoro dignitoso e crescita per tutti (49), sostenere la salute e il benessere delle persone (46), ridurre le disuguaglianze (44), rendere le città sostenibili (32), garantire un’istruzione di qualità (32) e costruire reti di sviluppo locali (20).
Nel corso degli ultimi anni stiamo assistendo, nelle viscere della società, al prendere piede di una nuova dimensione del senso comunitario, caratterizzata da una spinta alla comunanza umanistica, dalla ricerca di un nuovo senso esistenziale in cui comunità e fratellanza, pace e speranza nella capacità dell’essere umano di perfezionare sé stesso (come direbbe Fromm), cercano faticosamente di emergere.
«Una società caratterizzata da reciprocità generalizzata è più efficiente di una società diffidente», ci ricorda il politologo americano Robert Putnam. Questa spinta alla comunanza umanistica, tuttavia, per affermarsi e diventare egemone, necessita di un riferimento politico in grado di incarnarne le istanze. Un riferimento che, per ora, non si vede all’orizzonte.
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