- L’agenda dei timori e delle preoccupazioni genera nell’opinione pubblica uno stato permanente di incertezza (58 per cento, con punte del 62 per cento tra i ceti medio bassi).
- Al secondo posto, nella scala emozionale, troviamo l’ansia. Una emozione particolarmente presente nei ceti popolari (47 per cento), rispetto a una situazione di minore predominanza nella middle class (36 per cento, 11 punti in meno).
- La terza emozione che taglia l’umore degli italiani è la tristezza. Anche in questo caso siamo al 23 per cento nel ceto medio e al 33 per cento nei ceti popolari.
Il clima sociale nel paese mostra cenni di una crescente preoccupazione, con segnali di aumento non solo dell’incertezza, ma anche dei livelli di ansia, tristezza e rabbia.
Rispetto a novembre 2022 sono in aumento le preoccupazioni per l’inflazione e l’aumento dei prezzi. La speranza che la corsa del costo della vita perdesse velocemente di potenza nei primi mesi del 2023 si è andata affievolendo e i timori stanno prendendo sempre di più il sopravvento. Si è passati dal 53 per cento di preoccupazione per l’inflazione registrato nel penultimo mese dello scorso anno, al 64 per cento di maggio 2023, con un salto di ben 11 punti percentuali.
Al secondo posto, nella scala dei timori, ci sono gli effetti dei cambiamenti climatici (53 per cento), mentre al terzo posto si insedia come un macigno il tema del futuro dei giovani (37 per cento). Segue la preoccupazione per le guerre e i conflitti in corso, in primis quello generato dall’invasione russa dell’Ucraina. Al quinto posto nell’agenda delle preoccupazioni ci sono, entrambi al 25 per cento, il costo del denaro e dei mutui, nonché la paura di perdere il lavoro. Nel corso dei mesi è cresciuta di 7 punti anche l’apprensione per i flussi migratori, che è passata dal 14 per cento di fine ’22, al 21 per cento di oggi. Sempre al 21 per cento troviamo la preoccupazione per la stagnazione economica e al 22 per cento quella per l’aumento delle disuguaglianze sociali.
Le differenze
La scala delle apprensioni non è omogena nelle diverse classi sociali. Se tutti sono accumunati, con uno scarto maggiore nei ceti popolari (65 per cento contro il 61 del ceto medio), dai timori per gli effetti regressivi dell’inflazione, sugli altri temi possiamo osservare alcune significative differenze. La tensione per i cambiamenti climatici coinvolge maggiormente il ceto medio (59 per cento), rispetto ai ceti popolari (41 per cento).
Stessa differenza sul tema della guerra, che dal 41 per cento della middle class scende al 27 per cento nei ceti meno abbienti. Il costo dei mutui è, invece, altamente attenzionato dal 30 per cento dei ceti medio bassi, mentre per il ceto medio il quadro è meno al calor bianco (20 per cento). Il rischio di perdere il proprio lavoro è fortemente avvertito nei ceti popolari (30 per cento), contro il 19 della middle class. La preoccupazione per il futuro dei figli, invece, è un tratto assolutamente interclassista che accumuna tutti i segmenti sociali del paese.
L’agenda dei timori e delle preoccupazioni genera nell’opinione pubblica uno stato permanente di incertezza (58 per cento, con punte del 62 per cento tra i ceti medio bassi). Al secondo posto, nella scala emozionale, troviamo l’ansia. Una emozione particolarmente presente nei ceti popolari (47 per cento), rispetto a una situazione di minore predominanza nella middle class (36 per cento, 11 punti in meno). La terza emozione che taglia l’umore degli italiani è la tristezza. Anche in questo caso siamo al 23 per cento nel ceto medio e al 33 per cento nei ceti popolari. L’attesa, la speranza nel futuro, è un tratto avvertito solamente all’interno della middle class (35 per cento), mentre tra i ceti popolari questo sentimento è al lumicino e si dimezza al 17 per cento. La rabbia è il quinto sentimento che sovraneggia nelle viscere dell’opinione pubblica, con punte del 27 per cento nei ceti meno abbienti e in forme più ridotte nei ceti tranquilli economicamente (20 per cento). Infine la paura. Un altro sentimento che alberga nei ceti popolari (25 per cento) rispetto al ceto medio (16 per cento).
Tensione nuova
Il quadro complessivo del mood del paese mostra una situazione di tensione latente con segnali di crescita, ma anche alcuni elementi di differenza dal passato recente. La nuova crisi economica, l’incedere dell’inflazione e l’aumento delle disuguaglianze sociali, ma soprattutto lo stato di ansia, rabbia e paura che albergano nei ceti popolari e medio bassi, si vanno a innestare su quelle che da tempo si erano caratterizzate per essere le nuove tematiche di contestazione. Tematiche che mirano non a creare un nuovo tipo di società, ma a “cambiare la vita”, a difendere i diritti delle persone e la libera scelta di uno stile e di una storia di vita personali (come direbbe il sociologo francese Alain Touraine).
Una dinamica che potrebbe generare nuove forme di contestazione e nuovi movimenti attraverso la saldatura dei temi economici con quelli personali e morali che sono emersi negli ultimi anni. Una ricongiunzione tra economia e movimenti per i diritti che potrebbe essere ulteriormente rafforzata e facilitata da decisioni governative o parlamentari caratterizzate da un forte imprinting ideologico. Una convergenza tematica e di tensioni che potrebbe far venire a galla, in modo più dirompente, quello stato di malessere e tensione che per ora permane sotto la cenere.
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