L’81 per cento dei cittadini dell'Ue ritiene la gestione dei cambiamenti demografici una priorità politica; mentre l’85 per cento pensa che per affrontare il tema ci debba essere una stretta collaborazione a livello europeo, nazionale, regionale e locale.
Il cambiamento demografico è uno di quei temi che goccia dopo goccia, come l’acqua sulla roccia, sta mutando la geografia economica e le prospettive di futuro dell’Italia e di tutti i paesi europei. I recenti dati di Eurobarometro mostrano un quadro che coinvolge, con diverse priorità, tutto il vecchio continente.
L’81 per cento dei cittadini dell’Ue ritiene la gestione dei cambiamenti demografici una priorità politica; mentre l’85 per cento pensa che per affrontare il tema ci debba essere una stretta collaborazione a livello europeo, nazionale, regionale e locale.
Una sfida variegata
Le sfide demografiche, però, sono in parte distinte da nazione a nazione. Per Italia (38 per cento), Polonia (57), Olanda (56), Portogallo (53), Spagna (51), Slovenia (43), Repubblica Ceca (41) e Francia (41), la sfida principale è quella dell’invecchiamento della popolazione.
Per Belgio (53), Danimarca (49), Romania (48), Lituania (48) e Irlanda il fardello è quello della contrazione della popolazione in età lavorativa e della conseguente carenza di manodopera. Per Germania (53), Lussemburgo (53), Cipro (52), Svezia (49), Malta (47) e Austria (41) il tema principale è quello delle migrazioni e dei problemi relativi all’integrazione.
Lo spopolamento e la fuga dei cervelli, invece, è la preoccupazione di ungheresi (58), slovacchi (57), croati (51), greci (51) e bulgari (43). Infine, per Finlandia (57), Lettonia (45) ed Estonia (42) l’urgenza è il calo dei tassi di fertilità.
La stabilità economica
Nel nostro paese, secondo i dati dell’osservatorio centro studi Legacoop-Ipsos, il tema della denatalità è una priorità per il 74 per cento dell’opinione pubblica. All’origine di questo fenomeno ci sono diversi fattori: da quelli di natura strutturale della relazione tra lavoro ed esistenza a quelli legati al sistema paese e ai suoi servizi; da quelli originati dai mutamenti nella dimensione dell’affettività alle trasformazioni valoriali.
In prima linea, per gli italiani, fra le cause della denatalità ci sono: gli stipendi troppo bassi (70 per cento), l’instabilità lavorativa e la precarizzazione del lavoro (63). Dati che salgono rispettivamente al 72 e al 67 per cento nei ceti popolari.
A questi fattori si aggiungono la paura di perdere il lavoro, in particolare da parte delle donne (56), nonché lo scarso interesse, da parte delle imprese, all’equilibrio tra la vita personale e lavorativa (47 per cento, un dato che sale al 52 nei ceti popolari).
Un secondo fronte di cause della denatalità è da rintracciarsi nella mancanza di adeguati sostegni pubblici ai costi per la crescita dei figli (59 per cento) e nella carenza di servizi diffusi e a costi accessibili dedicati alle famiglie con figli (57). Un duplice fronte di cause della denatalità è connesso alla scarsa attenzione ai giovani e alla penalizzazione delle donne che lavorano.
Per il 48 per cento degli italiani sulla scelta di non fare figli pesa la fatica e la tarda età con cui molti giovani arrivano, dopo gli studi e molteplici lavoretti precari, alla stabilità economica. Per il 41 per cento dell’opinione pubblica nazionale fare figli è, ancora oggi, un ostacolo per le donne che vogliono fare carriera.
L’aspetto valoriale
Sulle dinamiche demografiche incidono anche i mutamenti valoriali e della sfera affettiva. Per il 46 per cento pesa la crescita dell’individualismo e la poca voglia di fare sacrifici, mentre per il 45 per cento incide la fluidità amorosa e l’instabilità delle relazioni.
Sul fronte valoriale si confrontano, invece, due tesi: da un lato, una visione più tradizionalista che punta il dito sulla scomparsa della famiglia tradizionale (44) e sulla caduta del valore della famiglia come fonte di realizzazione delle persone (40); dall’altro lato, una visione più post moderna che focalizza l’attenzione sulla difficoltà a mettere al mondo figli in una società materialista (36 per cento).
La complessità del tema e la molteplicità di concause mostrano l’impossibilità di affrontare l’argomento con ricettine e mancette, evidenziando la necessità di una strategia complessiva, sistemica, che coinvolga la relazione tra lavoro e vita, tra impresa e persone, tra stato, comunità e cittadini.
Non solo. La multidimensionalità del decremento demografico sottolinea la necessità di affrontare il problema anche da un punto di vista valoriale, rimettendo al centro la dimensione umanistica del vivere.
La crisi delle nascite è, innanzitutto, una crisi del modello capitalistico-liberista, dell’ipertrofia individualista, della feticizzazione dell’affettività, della caduta dell’impegno sui valori collettivi comuni. Essa rientra, infatti, all’interno della sfida più complessiva per la rigenerazione di un’armonia sociale e per la costruzione di una nuova dimensione di comunanza umanistica nella contemporaneità.
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