- La lower class, le persone che si sentono povere, che oscillano tra il 6 e l’11 per cento (tra i 4 e i 6 milioni di persone che si percepiscono come indigenti)
- La upper class, le persone che si collocano tra i benestanti e il ceto alto e medio alto, è cresciuta di diversi punti, passando dal 4 per cento di media negli scorsi anni al 6-7 per cento
- Il 13 per cento delle famiglie pensa che la decurtazione di reddito potrebbe essere tra il trenta e il cinquanta per cento. La quota di quanti prevedono tagli così consistenti sale dal 13 al 24 per cento nei ceti popolari
L’Italia che si appresta a chiudere il 2022 è un paese più fragile, rispetto a come aveva iniziato l’anno. L’aumento dei costi dell’energia, i rincari dei prezzi con l’inflazione vicina al 12 per cento e l’incremento dei tassi di interessi, hanno iniziato ad avere effetti sulla struttura sociale del paese. L’Italia è sempre più una realtà polarizzata socialmente, con il rafforzamento dei ceti privilegiati, della upper class, lo sfarinamento del ceto medio e l’ingrossamento e l’impoverimento dei ceti medio bassi e popolari.
Oscillazioni
Da un punto di vista della struttura sociale l’Italia potrebbe essere suddivisa in cinque classi sociali. Il dato è stato ricostruito in base all’autocollocazione delle persone nei diversi segmenti. Un metodo che permette di cogliere come si sentono le persone, quale ritengono sia il proprio posizionamento nella scala sociale.
L’autocollocazione permette di tenere insieme tutti i fattori dell’esistenza familiare, dal reddito, alle concrete esperienze di vita e spesa, dallo stile di vita allo status cui aspira. In vetta alla piramide sociale troviamo la upper class, le persone che si collocano tra i benestanti e il ceto alto e medio alto. Questo segmento, in questo anno complesso, è cresciuto di diversi punti, passando dal 4 per cento di media negli scorsi anni al 6-7 per cento. Il ceto medio è invece, in costante oscillazione.
Al termine della prima fase della pandemia (autunno 2020), quando anche negozi e botteghe artigiane avevano subito le chiusure, il numero di persone che si percepiva solido e parte del ceto medio era sceso fino al 26 per cento. Poi la ripartenza è arrivata. Nel 2021 la ripresa si è consolidata e con l’inizio 2022 una quota significativa era tornata a sentirsi stabile e certa.
Le persone che si collocavano del ceto medio avevano sfiorato quota quaranta per cento. Il quadro di incertezza innescato dalla guerra russo-ucraina e lo scatto inflattivo, ha ridotto certezze e livelli di stabilità, facendo oscillare, in questo autunno 2022, il dato del ceto medio intorno al 30 per cento.
In discesa
In crescita netta sono i segmenti sociali in difficoltà. Complessivamente tra il 58 e il 66 per cento degli italiani mostra segnali di crisi e difficoltà economica e sociale, con un incremento del 7 per cento rispetto all’inizio del 2022.
In pochi mesi abbiamo assistito a un doppio processo di scivolamento: dal ceto medio alla middle class in fall, ovvero in quella parte della società la cui posizione sociale è in discesa e il reddito non le consente lussi (in questo segmento si colloca tra il 35 e il 39 per cento delle famiglie); dalla middle class in fall al ceto fragile, ovvero quella parte di famiglie che arrivano a fine mese con molte difficoltà (in questo segmento si colloca tra il 15 e il 19 per cento delle persone).
Infine, la lower class, le persone che si sentono povere, che oscillano tra il 6 e l’11 per cento (tra i 4 e i 6 milioni di persone che si percepiscono come indigenti). Lo scatto inflattivo e il caro bollette si è scaricato maggiormente sui ceti popolari e medio bassi.
Gli incrementi sono stati maggiori, in termini percentuali, nei beni più difficili da tagliare come quelli alimentari e negli store che avevano minori margini per compensare o rallentare l’aumento del costo dell’energia.
Un quadro che, in termini previsionali, conduce a ipotesi di riduzione anche consistenti del reddito disponibile per le famiglie. Il 20 per cento degli italiani prevede per il prossimo futuro una riduzione del reddito tra il dieci e il venti per cento, mentre il 21 per cento ipotizza un calo compreso tra il venti e il trenta per cento. Il 13 per cento delle famiglie, infine pensa che la decurtazione di reddito potrebbe essere tra il trenta e il cinquanta per cento.
La quota di quanti prevedono tagli così consistenti sale dal 13 al 24 per cento nei ceti popolari, mentre in quel che resta del ceto medio e nella upper class, abbiamo una maggiore stabilità. Quanti prevedono un reddito stabile o in aumento sono mediamente il 15 per cento, ma nei ceti benestanti e medi si sale al 23 per cento. Nel nostro paese le disuguaglianze sono da anni in crescita, ma la situazione attuale rischia di far saltare il banco e portare a un pericoloso allargamento della forbice sociale.
Un quadro che non si risolve a colpi di mancette, come i diversi governi che si sono succeduti hanno mostrato di fare, ma occorre un reale ripensamento del modello di welfare e, soprattutto sul fronte del lavoro, una strategia orientata alla stabilità, alla qualità degli stipendi e alla de-precarizzazione.
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