- L’ultimo rapporto Mediobanca sul mondo Media&Entertainment misura le parole quando parla dell’Italia, ma i numeri non sono cortesi e ribadiscono che, al di là del cigno nero della pandemia, Rai e Mediaset, le due maggiori imprese italiane, non sanno più chi sono e arrancano arretrando su una china scivolosa.
- Mediaset s’agita trasferendosi in Olanda, forse per meglio incontrare Prosiebensat, la tv tedesca che maggiormente le somiglia perché poco produce e molto acquista.
- L’azienda pubblica italiana ha bisogno di riforme sia da fuori (la “governance”, per distanziare i vertici sia dal Parlamento che dal Governo) sia da dentro (circa l’assetto editoriale e organizzativo).
L’ultimo rapporto Mediobanca sul mondo Media&Entertainment misura le parole quando parla dell’Italia, ma i numeri non sono cortesi e ribadiscono che, al di là del cigno nero della pandemia, Rai e Mediaset, le due maggiori imprese italiane, non sanno più chi sono e arrancano arretrando su una china scivolosa.
La rottura digitale
La causa, a dirla in breve, sta nel digitale, ma non quello farlocco DTT (Digital Terrestrial Television) che tre lustri or sono moltiplicò canali e canalini arricchendo i non pochi che in una notte malandrina dei ‘70 s’erano rubate, le onde elettromagnetiche, benché “nostre” come i litorali o il Colosseo. A sconvolgere gli equilibri del settore Media&Entertainment è stato anche da noi lo sviluppo di Internet in banda larga, capace di trasportare suoni e immagini a valanga. Sicché i social, da semplici scambiatori di messaggi e cuoricini, sono divenuti media cominciando a risucchiare, grazie alla profilazione estrema dell’utente, il fiume di denaro della spesa pubblicitaria. Non bastasse, anche gli stessi televisori sono cambiati trasformandosi in computer per meglio colloquiare coi segnali digitali. E così è divenuta normal la televisione “punto a punto” in cui ognuno sceglie e riceve sull’istante il titolo cui destinare la serata.
Contemporaneamente in Italia s’è avviata la crisi del Duopolio, il Tirannosauro gatekeeper che sequestrando i canali distributivi teneva due volte il coltello per il manico: a) imponendo, grazie al “monopolio dell’acquirente”, il prezzo d’acquisto a chi aveva da vendergli prodotto; b) calamitando in assenza di alternative e dunque forte del “monopolio del venditore” i ricavi della pubblicità avendo per di più cura a venderli a basso costo unitario, per stroncare le gambe a qualsiasi temerario concorrente.
La centralità del prodotto
Nel mercato media attuale non domina il gatekeeper ma, in omaggio al detto che “content is the king”, il creatore del prodotto, che può raggiungere lo spettatore più forte d’ogni giogo. Tant’è che perfino Netflix, nato come distributore di cassette, s’è trasformato in mega produttore perché nel suo campo ognuno è soltanto quello che il suo catalogo racconta.
Proprio qui sdrucciola maggiormente Mediaset anche se s’agita trasferendosi in Olanda, forse per meglio incontrare Prosiebensat, la tv tedesca che maggiormente le somiglia perché poco produce e molto acquista. Magari con l’idea di spalleggiarsi al momento di acquistare sul mercato al fine d’ottenere qualche sconto.
La Rai dal canto proprio in tutti questi anni ha utilizzato la rendita del gatekeeper per mantenere il pluralismo anni ’70, a base di Testate multiple e sempre meno scoppiettanti. Un “pluralismo burocratico”, ma anche afono e insensato nei confronti dei 40 milioni di italiani che quando quelle cose godevano di senso erano appena fanciulli o giocavano con gli angeli.
La Rai alle strette
Le tabelle in cui Mediobanca accosta e confronta “I protagonisti del settore radiotelevisivo pubblico in Europa” mostrano una Rai in ottima salute, come un corpo pronto per un futuro anche migliore. Viene sottolineato, ad esempio, il margine positivo in aumento (meglio di francesi e spagnoli) e una audience più che cospicua tanto nell’insieme quanto nei TG diurni e serali. Ma si tratta, per chi sa guardare da vicino, del belletto sulle gote di un malato terminale.
L’azienda pubblica italiana, a raccontarlo in brevissime parole, ha bisogno di riforme sia da fuori (la “governance”, per distanziare i vertici sia dal Parlamento che dal Governo) sia da dentro (circa l’assetto editoriale e organizzativo). Riforme che costano, nella loro scala, né più né meno di tante incastonate nel PNNR quanto a Giustizia, Tasse e Ambiente.
Ma le tabelle 41 e 42 del rapporto Mediobanca mettono un pietrone su questa prospettiva perché mostrano che il canone italiano oltre ad essere, di gran lunga, il più basso della UE (0,36% del PIL rispetto allo 0,5% ed oltre di Francia, Germania e Regno Unito) è anche spudoratamente saccheggiato da Governo e Parlamento che ne hanno stroncato l’evasione solo per ridurlo in favore di elettore e distoglierne, dai 90 euro residui, il 13% ad altri fini.
Lunga e aspra è in sostanza la via italiana per uscire dai rottami del Duopolio verso il Servizio Pubblico e il Mercato adatti allo sviluppo globale di Media e Intrattenimento. Non potendo neppure contare sulla spinta pro riforme della UE , perché quando c’è di mezzo la comunicazione ogni mondo politico fa il padrone a casa sua. Intanto, restando come stiamo, restiamo periferia in uno dei settori avviati allo sviluppo più esplosivo.
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