Secondo il 73 per cento degli italiani, la nostra società, post Covid e nel cuore di un costante flusso di crisi e guerre, è più violenta del passato. Un dato che lievita al 77 per cento nei ceti popolari e in quanti vivono nelle zone periferiche delle nostre città
Femminicidi, scorrerie delle bande giovanili, aggressività domestica, bullismo, microcriminalità, soprusi psicologici e forme di brutalità gratuita, sono il mix di fattori che rendono, secondo il 73 per cento degli italiani, la nostra società di oggi, post Covid e nel cuore di un costante flusso di crisi e guerre, più violenta del passato. Un dato che lievita al 77 per cento nei ceti popolari e in quanti vivono nelle zone periferiche delle nostre città.
Le percezioni
Le forme di aggressività percepite in crescita sono molteplici. Su tutte, pesa il tema dei femminicidi, che per il 56 per cento degli italiani sono in deciso aumento rispetto al passato. In incremento sono anche gli atti aggressivi a opera di bande giovanili, secondo il 43 per cento dell’opinione pubblica.
Un aumento avvertito dalle persone più anziane (48) e dai ceti popolari (50). Crescita percentualmente analoga (43 per cento) per le forme di violenza domestica. In questo caso, a denunciarne l’espansione sono le donne (45) e sempre gli appartenenti ai ceti popolari (50). Anche il bullismo marca dinamiche in evoluzione in direzione negativa. Ad avvertirne la lievitazione è il 41 per cento degli italiani, in particolare donne (45) e persone anziane (52).
La microcriminalità, con il suo 38 per cento, si colloca a metà nella classifica dei fattori violenti in incremento, cedendo il passo ad altre e perniciose forme di aggressività e sopruso, come le forme di violenza psicologica (35 per cento) e, soprattutto, gli atti di violenza gratuita (33 per cento). Un tema, quest’ultimo, di cui abbiamo avuto una testimonianza solo pochi giorni fa, con il caso dei giovani che a Milano hanno teso un cavo d’acciaio ad altezza d’uomo per una assurda e criminale forma di divertimento (si stavano annoiando). Ed è proprio il nord-ovest l’area del paese in cui maggiormente si avverte lo sviluppo di forme di violenza gratuita. La lievitazione della violenza psicologica, invece, è avvertita in aumento dalle donne (33), dai giovani millennial e generazione Z (40) e dai ceti popolari (44).
La mappa dell’aumento delle forme di violenza contempla anche l’incremento degli atti aggressivi verso insegnanti, medici e personale infermieristico (28 per cento), nonché le forme di violenza intergenerazionale, di giovani che aggrediscono o scaricano la loro rabbia su anziani (25 per cento). In fondo alla classifica dell’incremento delle forme di brutalità, per il momento, si collocano gli atti razzisti e le aggressioni a persone per il colore della propria pelle (20 per cento).
All’origine di questa recrudescenza violenta ci sono molteplici fattori, ma per l’opinione pubblica pesano soprattutto la caduta della cultura del rispetto per le persone e per gli altri (48 per cento), l’insediarsi di stabili forme di arroganza, prepotenza nelle persone, e l’incapacità di accettare dei “no”, specie da parte degli uomini (42 per cento), la carenza di pene per chi delinque (33 per cento), la diminuzione dei livelli di istruzione nella società (30 per cento), l’abuso di sostanze come alcol e droghe (30 per cento), la crescita delle forme di esclusione sociale (24 per cento) e povertà (22 per cento), nonché l’educazione alla violenza che arriva da film, serie tv e videogiochi (20 per cento).
La percezione dell’aumento della violenza nella nostra società e le molteplici forme che essa assume, in particolare quelle legate alla violenza sulle donne, alla sopraffazione psicologica e nei contesti familiari, alla brutalità gratuita e tra le generazioni (dei più giovani verso gli anziani), ci riportano alle illuminanti frasi di Hannah Arendt e alla sua “banalità del male”, al fatto che le mostruosità e i comportamenti sopraffattivi e violenti non hanno bisogno di mostri, ma albergano nelle viscere quotidiane di una società in cui i tratti di malessere esistenziale e quotidiano si stanno amplificando. Per decenni alle persone è stato promesso l’assioma “compra e sarai felice”, ma questo impegno non è stato mantenuto.
La società ha spremuto le persone, si è passati dal 70 per cento degli italiani che nel 2003 si sentiva ceto medio al poco più del 35 per cento di oggi. Sono crollate le certezze, e viviamo in una realtà in cui le pressioni del rischio, le complessità relazionali e le possibilità di caduta sono aumentate.
L’incertezza, l’instabilità, la mancanza di ancoraggi stabili generano rabbia, frustrazione e senso di abbandono. Generano violenza. Parafrasando Bauman, dobbiamo mettere nell’agenda del 2024 l’esigenza di andare a combattere “le sorgenti del male”, per poterlo almeno arginare e limitare, anche se, per ora, appare utopistico sconfiggerlo radicalmente.
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