- In Italia la proprietà della casa è incentivata da una lunga tradizione di politiche abitative. Obiettivo quasi raggiunto, si direbbe, dato che oggi in Italia tre famiglie su quattro vivono in proprietà.
- Quindi per quale ragione una delle principali proposte del governo è di nuovo quella di ampliare le forme di supporto alla proprietà? La discussione verte sulle agevolazioni di accesso per l’acquisto della prima casa dei giovani con meno di 35 anni attraverso un fondo di garanzia dei mutui.
- Le ragioni per non incentivare ulteriormente la proprietà sono molte e le risorse vanno riorientate verso politiche di sostegno all’affitto.
Raggiungere la cosiddetta “società dei proprietari di casa”, per risolvere la questione abitativa una volta per tutte. Questo è il leitmotiv che orienta le politiche abitative italiane dal secondo dopoguerra a oggi, tutte o quasi imperniate sull’incentivo alla proprietà.
Obiettivo quasi raggiunto, si direbbe, dato che oggi in Italia tre famiglie su quattro vivono in proprietà, segnale della spiccata cultura del possesso della casa che caratterizza il nostro paese.
Quindi per quale ragione una delle principali proposte del governo è di nuovo quella di ampliare le forme di supporto alla proprietà? La discussione verte sulle agevolazioni di accesso per l’acquisto della prima casa dei giovani con meno di 35 anni attraverso un fondo di garanzia dei mutui.
Non che in Italia non si senta il bisogno di interventi a sostegno dell’abitare, soprattutto quando questi non passano per nuove costruzioni e consumo di suolo. Tuttavia, il finanziamento del fondo di garanzia prima casa presenta almeno tre grosse criticità che dovrebbero rimetterlo in discussione.
La scelta migliore?
La prima domanda che ci dovremmo fare è: la proprietà è la scelta migliore per i più giovani?
Senza entrare nel calcolo del peso dei costi abitativi sul reddito, coloro che acquistano una casa sono radicati stabilmente nel territorio e in caso di spostamenti hanno costi elevati. Questo per i giovani, in un mercato del lavoro instabile e segmentato, può rappresentare un grave limite. Trovare buone occasioni lavorative spesso implica disponibilità e capacità di spostarsi sul territorio. Capacità che risulterà più limitata per coloro che hanno acquistato un’abitazione, soprattutto se hanno un mutuo in corso. Ma non solo.
I costi di compravendita di un immobile rendono onerosa la scelta di cambiare casa, ad esempio passando da un bilocale a un trilocale se la famiglia si allarga. Basti pensare ai costi che gravano sulla transazione (spese notarili, di agenzia immobiliare, di istruttorie e imposte).
Gli effetti sugli affitti
La seconda domanda da porsi dovrebbe essere: chi danneggiamo se sosteniamo la proprietà (e solo quella)?
Le misure a sostegno della proprietà contribuiscono a mantenere basso il livello dell’offerta di case in affitto e alto quello dell’offerta di vendita. La centralità acquisita dalla proprietà favorisce l’inefficiente regolazione del mercato degli affitti da cui deriva un mercato immobiliare irrigidito dalla scarsa disponibilità di alloggi in locazione a prezzi accessibili e, soprattutto, di buona qualità.
Nel 2019 le famiglie italiane in affitto avevano il doppio delle probabilità di quelle in proprietà di vivere in alloggi con problemi strutturali: umidità, case buie, crepe nei muri o infissi difettosi. Il riscaldamento era inadeguato o troppo costoso per una famiglia su sette in affitto e per una su quindici in proprietà.
Il sovraffollamento, vivere in una casa troppo piccola per il numero dei componenti della famiglia è un problema rilevante nel nostro paese, ma in particolare per gli affittuari: 42,4 per cento rispetto al 26,4 dei proprietari. E se guardiamo ai dati delle famiglie giovani il divario tra affitto e proprietà aumenta ulteriormente.
Veniamo infine alla terza domanda, forse la più rilevante. Le risorse sono limitate per definizione. Anche se parliamo “solo” di 222,1 miliardi bisogna fare delle scelte.
Decidere nell’ambito di un piano di emergenza di destinare denaro al sostegno della proprietà significa decidere di non destinarle ad altro, per esempio ai contributi all’affitto per le famiglie messe a dura prova dalla pandemia.
Su questo un dato drammatico è quello degli sfratti.
Secondo il ministero dell’Interno le richieste di esecuzione di sfratto nel decennio tra il 2009 e il 2018 oscillavano tra le 110mila e le 160mila ogni anno. Nello stesso periodo i provvedimenti emessi annualmente sono stati tra i 50mila e i 70mila. Di questi la quasi totalità – circa l’88 per cento – riguarda casi di morosità, definita incolpevole, ossia incapacità di pagare l’affitto perché senza lavoro e senza reddito. Questi dati, appena saranno sbloccati gli sfratti sospesi durante la pandemia, molto probabilmente peggioreranno.
Partire dalla capacità di spesa
La scelta di destinare risorse a sostenere la proprietà a discapito del sostegno all’affitto va dunque motivata, seriamente.
Il supporto alle situazioni di insostenibilità dei costi della casa dovrebbe orientare il carattere dello stile di policy, definito come un programma strutturale che assicura continuità nel tempo della politica. L’esigenza è di un cambio di prospettiva che parta dai redditi e dalle capacità di spesa delle famiglie. La sostenibilità infatti non è una caratteristica intrinseca degli alloggi – tantomeno della proprietà – ma è relativa alla disponibilità economica di chi li abita.
La misura di garanzia dei mutui per la prima casa dei giovani continua invece a sostenere una visione del bisogno abitativo come bisogno di proprietà che esclude dalla politica i soggetti più fragili rafforzando la riproduzione delle disuguaglianze.
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