Il Superbonus e gli altri bonus edilizi hanno creato distorsioni molto gravi all’interno della nostra economia e del settore delle costruzioni. Motivo per cui la sua revisione in senso restrittivo da parte del governo è stata salutata con entusiasmo da molti, anche chi magari non è favorevole all’esecutivo. Eppure, la misura poteva essere rivista in molti modi diversi e, come già accaduto altre volte, anche in questo caso si è scelto quello che va maggiormente a scapito delle famiglie meno abbienti.

Cosa prevede la revisione del Superbonus

Il governo ha deciso di eliminare i meccanismi della cessione del credito e dello sconto in fattura.

Con la cessione del credito, era possibile “vendere” a un prezzo scontato la detrazione ottenuta grazie al superbonus a una banca o a un altro istituto di credito.

In questo modo, si poteva incassare immediatamente il beneficio economico, anziché aspettare di riceverlo a rate come sconto fiscale nel corso di quattro anni. Per la banca, invece, il profitto derivava dalla differenza tra il valore della detrazione incassata in quattro anni e il prezzo scontato cui veniva acquistata.

Lo sconto in fattura, invece, prevedeva che lo stato pagasse direttamente una parte del prezzo degli interventi di ristrutturazione, riducendo il costo a carico delle famiglie.

I prezzi gonfiati

Entrambi questi meccanismi hanno avuto l’effetto di gonfiare i prezzi, perché incentivano le famiglie a non preoccuparsi del costo finale, dato che sarà quasi immediatamente “rimborsato” nel caso della cessione del credito o fortemente ridotto grazie all’intervento dello Stato nel caso dello sconto in fattura.

Rispetto al periodo precedente la pandemia (il superbonus fu introdotto nel maggio 2020), i prezzi per la costruzione di edifici residenziali sono aumentati del 13 per cento e il settore edilizio ha registrato un boom nella produzione.

Perché gli svantaggi sono per i più poveri

È vero che lo sconto in fattura e la cessione del credito incentivano comportamenti economicamente poco sostenibili. È anche vero che il superbonus costa davvero troppo (circa 2 mila euro a cittadino, come riportato dal Ministro dell’Economia Giorgietti e verificato da Pagella Politica, per rinnovare solo il due per cento del patrimonio immobiliare italiano. Si tratta però di un importante meccanismo che permette la modernizzazione degli edifici, soprattutto per chi non può permettersi questi interventi molto costosi, semmai sarebbero da modificare i criteri di efficientamento energetico laschi rispetto agli obiettivi europei. Con le modifiche del governo, però, l’accesso al bonus per le famiglie meno abbienti diventerà molto più complicato.

D’ora in avanti, il superbonus potrà essere utilizzato solo sotto forma di detrazione, ossia come rimborso delle tasse nel corso di quattro anni. Il problema è che chi paga poche tasse non riuscirebbe a godere del tutto della detrazione, perché avrebbe diritto a più di quanto deve allo stato.

Leonzio Rizzo su lavoce.info ha calcolato che un lavoratore dipendente dovrebbe guadagnare almeno 43mila euro l’anno per godere totalmente di una detrazione da 5 mila euro, mentre il reddito minimo sale a 69mila euro in caso di detrazione da 100mila. Rispettivamente, solo il 9 e il 4 per cento dei lavoratori dipendenti hanno un reddito pari o superiore a queste cifre e potrebbero quindi godere in pieno della detrazione.

Per un bonus meno costoso e più equo

Piuttosto che ridurre l’accesso al superbonus, con effetti regressivi, varrebbe la pena ridurre il valore dello sconto.

La detrazione potrebbe per esempio essere portata al 65 per cento, anziché all’attuale 90 per cento, oppure essere modulata in base al reddito: più alta per i meno abbienti e più bassa per chi guadagna di più.

Si è preferita la soluzione più facile: cancellare con una linea rossa le cose più semplici da eliminare per ridurre i costi e rendere felici gli elettori, senza considerare le conseguenze dei tagli, ma solo il loro appeal dal punto di vista politico. Un po’ come questo governo ha già fatto con il reddito di cittadinanza.

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