- La povertà resta stabile dopo aver raggiunto il picco massimo con la pandemia. Nel 2021, il 7,5 per cento delle famiglie si trovava in povertà assoluta.
- Il dato stabile a livello nazionale nasconde forti differenze territoriali. A Nord-Ovest la povertà cala, mentre cresci di molto nel Mezzogiorno.
- Nel 2021 il Pil ha subito un rimbalzo del 6,6 per cento, eppure la povertà è rimasta sostanzialmente stabile. Le politiche per il rilancio non sembrano tenere abbastanza in considerazione gli ultimi.
I dati sulla povertà nel 2021 pubblicati da Istat il 15 giugno confermano le stime preliminari di marzo: l’incidenza della povertà assoluta tra le famiglie è rimasta stabile al 7,5 per cento (era il 7,7 per cento nel 2020), con fortissime differenze a livello territoriale. Al Nord, infatti, il numero di famiglie in povertà è calato di 90 mila unità, mentre nel Mezzogiorno si è registrato un aumento di 54 mila unità (una famiglia su dieci si trova in condizione di povertà assoluta).
Il miglioramento al Nord si spiega sia per la maggiore resilienza del settore produttivo alla pandemia, sia per il fatto che nel 2020 le regioni settentrionali (e in particolare il Nord-Ovest, che infatti è l’area del paese a migliorare di più) sono state colpite dalla crisi sanitaria con un’intensità maggiore rispetto al Centro e al Sud, con successivo rimbalzo una volta che la pandemia è diventata meno grave.
Mentre i numeri sulla povertà al Nord non preoccupano più di tanto (anche se ancora ben al di sopra dei livelli del 2019) proprio per la capacità del sistema produttivo di riprendersi dalle situazioni di crisi, molto più grave è la situazione del Mezzogiorno, che sembra non avere gli strumenti necessari per ripartire e permettere alle famiglie più svantaggiate di uscire dalla trappola della povertà.
In primo luogo, il Sud presenta caratteristiche economiche e sociali che sono associate a un maggiore rischio di povertà: per esempio, le famiglie meridionali tendono a essere più numerose (per i nuclei con quattro componenti, il rischio di finire in povertà è quasi doppio rispetto a quelli con due membri, ed è quattro volte superiore per quelle con cinque componenti) e sono più spesso monoreddito. E, chiaramente, anche il maggiore tasso di disoccupazione non aiuta: per i disoccupati, la probabilità di trovarsi in povertà è tre volte superiore rispetto agli occupati.
C’è poi la questione dei prezzi: l’inflazione generata dalle tensioni sul commercio internazionale e dalla guerra in Ucraina riguarda soprattutto beni che hanno un peso superiore sul bilancio delle famiglie più povere, ossia beni alimentari ed energia. Al Sud in particolare, in cui gli stipendi sono inferiori, anche a causa del minore costo della vita, l’aumento dei prezzi può aver avuto un effetto ancora più spiazzante, forse anche a causa della minore capacità delle imprese di adattare i salari al carovita. E occorre ricordare che i dati presi in esame riguardano il 2021 (inflazione all’1,9 per cento), ma la situazione nel 2022 peggiorerà ancora: quest’anno, infatti, l’inflazione potrebbe superare il 5 per cento.
Le politiche per migliorare la situazione
È ancora presto per valutare il piano di rilancio del paese in maniera approfondita, ma, visti i dati sulla povertà nel Mezzogiorno nel 2021, un anno in cui il Pil italiano è cresciuto del 6,6 per cento, si può dire che, per il momento, le politiche per la ripresa non hanno funzionato al Sud.
Le soluzioni per migliorare la situazione ci sono: alcune riguardano l’economia di per sé, altre richiedono anche cambiamenti culturali. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro al Sud, per esempio, è ancora troppo bassa e non è solo una questione di mancanza di posti di lavoro.
Il tasso di occupazione femminile al Sud è solo del 33 per cento, contro il 59,3 per cento del Nord. I fondi del Pnrr devono spingere su questo punto, ma le prospettive non sono particolarmente rosee, sia perché l’obbligo di garantire una certa quota di posti di lavoro creati alle donne sembra essere passato in sordina, come raccontato da Valentina Cardinali su lavoce.info, sia perché i fondi per i servizi per l’infanzia allocati dal Pnrr, essenziali per favorire la crescita dell’occupazione femminile, non sembrano essere abbastanza, come raccontano Patrizia Lattarulo e Letizia Ravagli, sempre su lavoce.info. Peraltro, a causa della scarsa reattività degli enti locali, quanto messo a disposizione rischia di non essere speso del tutto.
Occorre poi garantire che le risorse destinate al Mezzogiorno siano sufficienti, e, soprattutto, che vengano utilizzate in maniera efficiente. Come ha scritto Gianfranco Viesti per il Forum Disuguaglianza e Diversità, i fondi direttamente allocati al Sud dal Pnrr sono meno di quelli promessi inizialmente, ma, soprattutto, gli enti locali del Mezzogiorno sono spesso impreparati a gestire finanziamenti pubblici di questo tipo. Sarebbe forse valsa la pena di affidare la gestione dei fondi a comitati decentralizzati in grado di aiutare le amministrazioni a investirli nella maniera più efficiente ed efficace.
Le politiche messe in campo fino a questo momento non sembrano aver avuto un grande effetto sulla povertà nel Mezzogiorno. Il Pnrr è un’opportunità straordinaria, ma, viste le premesse, c’è il rischio che si tratti dell’ennesima occasione persa.
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