- Il modello di governo di impresa conta non solo per l’efficienza ma anche per la giustizia sociale. Per democratizzare i sistemi di governance serve una riforma concreta.
- Il ForumDD ha proposto l’istituzione dei Consigli del lavoro e della cittadinanza in impresa cno diritto di informazione, consultazione e codecisione.
- I primi due si eserciterebbero su materie di carattere generale e strategico, come qualità dei prodotti, il secondo su questioni come le ristrutturazioni.
Le diseguaglianze si formano con la distribuzione di reddito e ricchezza all’interno delle imprese e nel mercato, prima che avvenga la redistribuzione via tassazione. Più forte è la diseguaglianza nella distribuzione di mercato tuttavia meno efficace è la stessa redistribuzione.
Fuori dall’astrazione della “concorrenza perfetta”, il modello di corporate governance - come, da chi e nell’interesse di chi vengono prese le decisioni sull’appropriazione del valore creato - è causa determinante delle disuguaglianze. Non a caso i paesi Ocse dove si è affermato il dogma della “massimizzazione del valore per gli azionisti”, Stati Uniti e Gran Bretagna in testa, sono in cima alla lista per disuguaglianze, inseguiti dall’Italia, che almeno in linea di principio ha aderito a quel dogma con la legge Draghi e la riforma del 2003.
Di qui l’importanza della “pre-distribuzione”: cambiare la distribuzione di diritti e poteri che si esercitano nel mercato e nell’impresa per influire sulla distribuzione di reddito e ricchezza prima della re-distribuzione via tasse. Poiché il modello di governo di impresa conta, non solo per l’efficienza ma anche per la giustizia sociale.
Nuova governance
In Italia, di fronte al silenzio assordante della politica su questi temi, il ForumDD ha proposto l’istituzione dei Consigli del lavoro e della cittadinanza in impresa, una riforma concreta per democratizzare i sistemi di governance. Non si tratta della partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori ai consigli di amministrazione. Questo sarebbe ragionevole a fronte di una riforma del diritto societario che affermasse che lo scopo dell’impresa, e quindi il dovere degli amministratori, è perseguire in modo equo ed efficiente gli interessi dei diversi stakeholder (azionisti, lavoratori, fornitori, consumatori) e al contempo minimizzare gli effetti esterni (ambientali) negativi. Finalmente oggi il tema è maturo a livello europeo grazie alla discussione sul governo d’impresa sostenibile.
Nell’attesa di una riforma più complessiva, intanto si può inserire un organismo che cambi la distribuzione del potere nel processo decisionale dell’impresa. I Consigli del lavoro e della cittadinanza riprendono un istituto che caratterizza da decenni il governo d’impresa in Germania, Austria, Olanda, ma lo innovano con la rappresentanza nel consiglio dei lavoratori dell’intera catena di fornitura, o con una rappresentanza a livello di distretto per le reti locali di piccole imprese. In aggiunta il consiglio avrebbe una rappresentanza dei cittadini dei territori dove l’impresa opera, in modo da dare voce agli interessi ambientali. I Consigli avrebbero poteri effettivi nel processo di governance, grazie ai diritti di informazione, consultazione e co-decisione, una decisione non procede senza l’assenso del consiglio.
Consultazione e co-decisione
I primi due diritti si eserciterebbero su materie di carattere generale e strategico, come qualità dei prodotti o servizi, investimenti, ricerca, partecipazioni finanziarie, assetto del management, e materie che attengono alle condizioni generali dei lavoratori come organizzazione del lavoro, salute, welfare aziendale. Mentre sulle materie riguardanti le condizioni di lavoro di gruppi o singoli lavoratori, ad esempio le decisioni volte a limitare i costi sociali di ristrutturazioni e licenziamenti, varrebbe il potere di co-decisione.
Per effetto di questa riforma non potrebbe accadere che una multinazionale a Napoli (Whirpool) o a Pisa (GKN) metta tutti di fronte al fatto compiuto dei licenziamenti e chiusura degli impianti, poiché per la validità delle decisioni degli amministratori prima il consiglio dovrebbe essere informato e consultato, e la decisione non potrebbe esser presa in mancanza di accordo sulle politiche di ristrutturazione e risarcimento volte a minimizzarne gli impatti sui lavoratori. Oppure si pensi al caso ex-Ilva di Taranto. Al posto di decenni di ambiguità, l’obbligo di accordo con i lavoratori e i rappresentanti degli interessi ambientali del territorio avrebbe spinto a elaborare una strategia di riconversione che rendesse compatibili salute e lavoro.
Infine le innovazioni tecnologiche con impatto sull’organizzazione del lavoro e l’occupazione richieste dalla transizione digitale ed ecologica, sarebbero decise secondo il criterio dell’equilibrio di contrattazione mutuamente vantaggioso tra capitale, lavoro e interessi ambientali. I teorici dei giochi sanno bene che tali soluzioni cooperative sono possibili. Nella pratica l’equilibrio sarebbe trovato di volta in volta dai consigli.
La prevedibile resistenza alla democratizzazione della governance si spiega con la miopia. Nell’immediato gli azionisti preferiscono far “la parte del leone” nell’appropriazione di una torta più piccola che non ottenere una quota equa di una torta più grande in futuro. Per questo è necessaria l’azione collettiva per un cambiamento normativo. Non per imporre i Consigli, ma perché una grande discussione tra le parti interessate a livello nazionale e poi a livello settoriale e aziendale, secondo i metodi della democrazia deliberativa, porterebbe ad accordi. E accordi equi plasmano le preferenze, spingendoci ad attuarli, ammesso che ci aspettiamo la genuina adesione delle altre parti dell’accordo.
È grave non aver fin qui colto l’opportunità del Pnrr per realizzare un accordo naturale in questa fase: gli investimenti pubblici che risollevano le imprese e il mercato, dopo la pandemia, in cambio della democratizzazione del governo di impresa, in modo che i benefici tornino a vantaggio di molti e non di pochi.
I partiti sono a corto di idee, a meno di un anno dalle elezioni litigano su provvedimenti simbolici e promettono soltanto bonus o grandi sconti fiscali a debito.
Per questo Domani ha iniziato, con il congruo anticipo in vista del voto 2023, a raccogliere ed elaborare spunti concreti per un programma a disposizione di tutti i partiti che vorranno farlo proprio.
Le proposte che raccogliamo devono essere dettagliate, realizzabili, e orientate ad aumentare la sostenibilità e l’equità, anche e soprattutto attraverso una maggiore crescita inclusiva. Per partecipare a questo dibattito, scrivete a lettori@editorialedomani.it.
Cominciamo con le proposte del Forum disuguaglianze diversità che si sono rivelate tra le più votate nel percorso delle Agorà del Pd.
© Riproduzione riservata