- Il divario negli apprendimenti fra le aree del nostro Paese è da mettere in buona parte in relazione al contesto sociale ed economico in cui le scuole si trovano a operare.
- Ma questo parametro non spiega tutto. In matematica per esempio anche a parità di contesto famigliare, uno studente del Sud va peggio.
- Le differenze poi non sono solo tra macro aree, ma anche all’interno del Mezzogiorno.
Da quando le rilevazioni dell’Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema d’Istruzione (Invalsi) sui livelli di apprendimento in italiano e matematica degli studenti italiani sono divenute sistematiche, coinvolgendo prima gli alunni della terza media e poi quelli della seconda e quinta classe della scuola primaria e della secondaria superiore, i risultati hanno costantemente messo in luce la presenza di un divario di prestazioni fra le cinque aree geografiche (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud, Sud e Isole), in cui l’Italia è a fini statistici suddivisa. I risultati delle varie aree sono simili in seconda primaria ma divergono progressivamente man mano che si prosegue nell’itinerario educativo, in particolare a partire dalla terza media e più in matematica che in italiano.
Le indagini internazionali (Pirls, Timms e Pisa) sui livelli di apprendimento in comprensione della lettura e in matematica confermano le differenze tra le macro-aree evidenziate dalle rilevazioni dell’Invalsi: mentre le due aree del nord Italia si posizionano al di sopra della media non solo nazionale ma anche internazionale, il centro oscilla intorno alla media italiana e le due aree del Mezzogiorno si collocano al di sotto della media sia nazionale che internazionale.
Per dare un’idea dell’ampiezza del divario, nell’ultima edizione dell’indagine Pisa (2018) il Nord-Est si collocava in lettura al livello della Danimarca e il Sud e Isole a quello della Serbia.
Il peso del contesto socio-economico sui risultati
Di fronte alla situazione messa in luce dalle evidenze empiriche, sorge spontanea la domanda circa le ragioni che spieghino una tale disuguaglianza nei livelli di apprendimento misurati dalle prove standardizzate nazionali e internazionali tra le diverse aree geografiche del nostro Paese, e in particolare tra nord e sud, considerando che il sistema scolastico ha la stessa organizzazione in tutto il territorio italiano e sono gli stessi i programmi stabiliti per i vari ordini e gradi di scuola. Rispondere a questa domanda non è semplice.
Una prima risposta può esser trovata nel diverso background socio-economico degli studenti delle regioni centro-settentrionali e meridionali. Non solamente l’indice di status socio-economico-culturale (Escs index) degli studenti del Mezzogiorno è mediamente più basso di quello degli studenti del centro e del nord ma la variabilità delle misure è maggiore nel sud rispetto al resto dell’Italia, specie nella parte inferiore della curva di distribuzione.
Ciò rende più arduo perseguire l’obiettivo di alzare i risultati medi e ridurre le differenze tra gli studenti, in quanto la sfida da affrontare è tanto maggiore quanto più il livello socio-economico di una popolazione è complessivamente basso e quanto più ampia è l’eterogeneità che sotto tale aspetto si riscontra al suo interno.
Tuttavia, più che l’indice di status degli studenti, che riflette solo indirettamente il grado di sviluppo economico di un territorio, ciò che rileva è il suo Pil pro-capite.
Tra questo e le prove Invalsi esiste una stretta connessione, come si può vedere dalla relazione tra il Pil per abitante delle regioni italiane e i punteggi delle prove di italiano e matematica di terza media, requisito di ammissione all’esame di licenza con cui si conclude la scuola di base.
Ben il 68 per cento della variabilità dei risultati tra una regione e l’altra in italiano e il 70 per cento in matematica è spiegato dal prodotto interno lordo rapportato al numero dei residenti.
Sebbene l’associazione tra le due variabili sia forte, il rapporto tra di esse non è però deterministico: come si può osservare, alcune regioni registrano infatti un punteggio superiore a quello che si poteva prevedere in base al Pil per abitante, mentre altre registrano un punteggio inferiore.
I peggiori risultati nelle prove Invalsi delle regioni del Mezzogiorno non sono dunque interamente giustificati dal loro grado di sviluppo economico, senza contare che, anche a parità di condizione socio-economica della famiglia, del profitto in italiano e in matematica misurato dal voto del primo quadrimestre e, nel caso della scuola superiore, del tipo di scuola frequentata, uno studente del Mezzogiorno ottiene un punteggio più basso nelle prove Invalsi di uno studente del nord Italia.
Al Sud la scuola di base non è uguale per tutti
Una seconda risposta alla domanda di cui sopra può esser data dalla constatazione che nel primo ciclo d’istruzione, comprensivo della scuola primaria e della scuola media inferiore, la variabilità dei risultati nelle prove Invalsi dovuta a differenze tra le scuole e tra le classi è maggiore nel Mezzogiorno rispetto al centro e soprattutto al nord Italia già a partire dalla seconda primaria.
Ciò significa che la ripartizione degli alunni nelle scuole e nelle classi, dal punto di vista delle caratteristiche individuali che incidono sull’apprendimento, è nel Mezzogiorno più disequilibrata: gli alunni socialmente favoriti e con migliori livelli di preparazione tendono a essere raggruppati in alcune scuole e classi e altrettanto dicasi per gli alunni più fragili sotto il profilo sociale e culturale.
Quanto questo sia dovuto alle scelte e alle pressioni dei genitori o a decisioni delle scuole, o ancora ad altri motivi, è questione aperta.
In ogni caso, poiché l’apprendimento di un alunno è influenzato non solo dalle sue caratteristiche personali ma anche da quelle dei compagni con cui si trova a interagire all’interno della classe e della scuola frequentate, lo squilibrio nella distribuzione degli alunni accentua le differenze, deprimendo i risultati dei più deboli, più sensibili agli effetti dell’ambiente educativo, e finendo anche per incidere in qualche misura sui risultati medi complessivi.
L’esigenza di ulteriori indagini
Nel dire quanto sopra, non si esclude, ovviamente, l’influenza di altri fattori, come la carenza di strutture, l’insufficienza di risorse o la presenza di inefficienze sul piano della gestione organizzativa e dell’azione didattica nelle scuole del Mezzogiorno, in particolare in determinate realtà: riguardo a questo, sarebbe utile poter incrociare i risultati delle prove Invalsi con altri dati sugli istituti scolastici, relativi, ad esempio, ai finanziamenti e al loro uso, alle qualificazioni del personale dirigente e docente, alle assenze di alunni e insegnanti, ecc., così da cercare di capire quali variabili siano associate con migliori e peggiori risultati e progettare i possibili interventi.
Per concludere, se i più bassi punteggi nelle prove delle indagini nazionali e internazionali delle regioni meridionali sono innanzitutto da mettere in relazione con il loro minore sviluppo, tuttavia l’analisi dei dati ci dice anche che il sistema scolastico soffre nel Mezzogiorno di carenze non del tutto riconducibili al contesto socio-economico in cui le scuole si trovano a operare.
La maggiore variabilità dei risultati nelle prove Invalsi dovuta a differenze tra le scuole e tra le classi ma anche – si aggiunga - gli indicatori di valore aggiunto, cioè dei risultati delle scuole depurati dal peso delle caratteristiche socio-demografiche degli studenti e del loro livello di competenza in ingresso, attestano una tendenza alla polarizzazione fra istituti più e meno performanti maggiore nel sud Italia rispetto al centro e al nord, di cui andrebbero approfondite le ragioni.
Ciò, e quanto sopra detto sull’utilità di poter incrociare con i dati Invalsi anche altri dati, pone l’accento sull’esigenza di condurre, accanto alle rilevazioni censuarie e sulla base delle informazioni da esse fornite, indagini mirate che allarghino il quadro interpretativo e possano dare indicazioni sulle politiche da intraprendere per tentare di migliorare i risultati delle scuole del Mezzogiorno.
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