- Ieri, in una conferenza stampa in cui ha cercato il più possibile di evitare di nominare l’Italia, la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde ha illustrato i criteri per potere accedere al nuovo scudo anti spread.
- Lo scudo o meglio lo strumento di protezione della trasmissione (Tpi) nel senso di protezione della trasmissione della politica monetaria della Bce non ha limiti ex ante e verrebbe attivato in piena discrezionalità del consiglio direttivo della banca centrale.
- Questo autunno col nuovo governo dovrebbe entrare nel vivo il difficilissimo negoziato sulla riforma delle regole fiscali che al momento prevedono ancora un sistema rigido di obiettivi di bilancio di medio termine, il deficit al 3 per cento e una riduzione del debito di un ventesimo l’anno.
I leader che aspirano a conquistare il palazzo lasciato da Mario Draghi ora conoscono le condizioni che permetteranno di ottenere il sostegno illimitato della Bce al nostro debito monstre. Ieri, in una conferenza stampa in cui ha cercato il più possibile di evitare di nominare l’Italia, la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde ha illustrato i criteri per potere accedere al nuovo scudo anti spread, proposto proprio per il rialzo dello spread tra i nostri titoli di stato e quelli tedeschi a metà giugno e approvato all’unanimità dal consiglio direttivo della Bce in cambio di un rialzo dei tassi di 50 punti base, il primo da undici anni a questa parte.
I vincoli per lo scudo
Lo scudo o meglio lo strumento di protezione della trasmissione (Tpi) nel senso di protezione della trasmissione della politica monetaria della Bce non ha limiti ex ante e verrebbe attivato in piena discrezionalità del consiglio direttivo della banca centrale: «La Bce non sarà ostaggio di nessuno», ha detto ieri Lagarde.
Sarebbe il terzo strumento a disposizione della Bce. Il primo è il programma di acquisti pensato per la pandemia (Pepp) che è molto flessibile nella scelta della nazionalità dei titoli da acquistare e che finora ha fatto sì che la Bce si comprasse 279 miliardi di debito italiano (dati di maggio), mentre altri 448 miliardi erano stati acquistati con l’altro programma di acquisto titoli concluso il primo luglio. Il Pepp ora si limiterà a riacquistare i titoli in scadenza, questo significa che se l’Italia avesse bisogno di finanziamento per un livello maggiore, non ci sarebbe molto da fare.
Insomma, il Pepp è flessibile ma non illimitato e per sostenere una eventuale crisi del debito, quello di cui si ha bisogno è proprio l’assenza di limiti. Il secondo strumento sono le Omt del 2012, mai utilizzate perché prevedono sostanzialmente un piano di ristrutturazione del debito con le chiavi in mano al Mes. Il Tpi è l’unico strumento illimitato che presenta un grado di condizionalità più facile da accettare.
E però per accedere allo scudo bisogna rispettare quattro criteri: rispetto delle regole fiscali europee assenza di squilibri macroeconomici eccessivi (per entrambi i criteri non essere sottoposti a procedura di infrazione europea), sostenibilità delle finanze pubbliche e rispetto degli impegni del Pnrr – di cui l’Italia è di gran lunga il maggiore beneficiario in tutta la Ue - e delle raccomandazioni economiche del semestre europeo. Le regole fiscali, cioè il Patto di stabilità, sono temporaneamente sospese e l’Italia rispetta tutti e quattro i criteri.
Regole fiscali e Pnrr
La procedura sugli squilibri eccessivi non ha mai davvero funzionato, nemmeno prima dell’impennata dei debiti pre pandemia. La sostenibilità del debito non può non esserci, visto che per definizione lo scudo anti spread si attiva solo in caso di «movimenti disordinati e ingiustificati dei mercati».
Quindi, dice Massimo Bordignon, membro dello European fiscal board, cioè il gruppo degli esperti che consigliano la Commissione europea sulle regole fiscali, oltre che fino a ieri consigliere del governo Draghi per la delega fiscale, i due criteri più vincolanti sono il rispetto delle regole fiscali e degli impegni su Pnrr e raccomandazioni della Commissione Ue. E qui iniziano i potenziali problemi, considerando la crisi di governo e le elezioni previste per il 25 settembre.
Ieri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha detto che «la attuazione nei tempi concordati del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è di importanza decisiva». Il segretario del Pd Enrico Letta ha lanciato un appello a tutti i partiti sulla difesa del Recovery, e la leader dell’opposizione aspirante Giorgia Meloni ha detto che ci sta. Il problema è che ci sono impegni che il nuovo governo potrebbe non voler rispettare.
Un esempio su tutti: la riforma del catasto, raccomandata da anni con un aumento delle «imposte sul patrimonio» e nel 2022 ancora più esplicitamente. Quindi che si fa? E questa non è nemmeno la parte più complessa, perché poi questo autunno col nuovo governo dovrebbe entrare nel vivo il difficilissimo negoziato sulla riforma delle regole fiscali che al momento prevedono ancora un sistema rigido di obiettivi di bilancio di medio termine, il deficit al 3 per cento e una riduzione del debito di un ventesimo l’anno.
La riforma del patto di stabilità
«A giugno la Commissione europea doveva presentare la sua proposta sulla revisione del Patto di stabilità, l’ha rinviata a settembre e ottobre anche perché non c’era un accordo politico», dice Bordignon, «Al momento non possiamo dire cosa contiene la proposta, ma la direzione era passare a un percorso di aggiustamento del debito diverso paese per paese, una possibilità era anche prendere a modello il Pnrr e prevedere un piano di rientro concordato con l’Ue e anche separare nei parametri da considerare la spesa corrente da quella in conto capitale».
Il problema è che l’intesa politica non c’è, in Germania Christian Lindner sostiene lo status quo, e secondo Bordignon «non è nemmeno detto che la riforma si faccia». Chi manderà a negoziare il nuovo governo la riforma del patto di Stabilità? Giulio Tremonti protagonista della impennata dello spread del novembre 2011? Auguri.
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