Da Parigi e Berlino sussidi alle aziende per far fronte alle bollette. In Italia protestano gli industriali dell’acciaio, ma Roma non ha risorse
Per le industrie tedesche è una boccata d’ossigeno, un toccasana per i bilanci, per quelle italiane è una notizia allarmante: la Germania ha annunciato un pacchetto di misure a sostegno delle manifatture energivore, quelle che più di tutte stanno soffrendo per l’impennata dei costi energetici.
Dunque, Berlino ha già pronte agevolazioni per 28 miliardi da distribuire lungo i prossimi due anni. Mentre da noi gli imprenditori dell’acciaio e delle fonderie, che già pagano un prezzo tra i più alti in Europa per l’approvvigionamento energetico, temono di essere penalizzati due volte: l’eccessiva differenza nei costi di produzione tra industrie italiane ed europee potrebbe riflettersi sulla capacità stesse delle manifatture italiane di stare sul mercato.
Sgravi fiscali alle imprese
Più nel dettaglio, il governo tedesco sta varando un pacchetto di misure per un valore complessivo di 12 miliardi di euro per il 2024 e per il 2025. All’orizzonte c’è un taglio significativo delle imposte, per cui le tasse sull’elettricità saranno ridotte al minimo di legge previsto dall’Unione europea.
Seguono poi sussidi diretti da parte dello Stato tedesco alle 350 industrie che più risentono della competizione internazionale, mentre le 90 aziende «più energivore» in Germania riceveranno ulteriori ristori. L’attesa da parte del governo tedesco è che queste azioni possano trovare un proseguimento anche per gli anni successivi e – vincoli di bilancio permettendo – essere prorogate fino al 2028. Cioè cinque anni di sussidi.
Peraltro, anche la Francia ha nel mirino una serie di accordi per ridurre il peso dei costi energetici a carico delle industrie. A denunciarlo è il presidente di Federacciai, Antonio Gozz
i, secondo cui il governo transalpino avrebbe raggiunto un’intesa con Électricité de France, la principale azienda produttrice di elettricità nel Paese, per distribuire 270 terawattora prodotti delle centrali nucleari francesi a un prezzo amministrato di 70 euro al megawattora.
Tanto per fornire qualche dato di paragone, in questo momento un’impresa manifatturiera italiana paga circa 130 euro al Megawattora, il 30 percento in più rispetto ai competitor francesi e tedeschi che sborsano per l’elettricità poco meno di 100 euro al megawattora.
In Italia si punta il dito contro Bruxelles, che dovrebbe garantire una concorrenza leale all’interno del mercato europeo. Concorrenza che verrebbe minata da queste iniziative francesi e tedesche. Intervenendo a margine di un’assemblea di Federacciai, Giovanni Arvedi, numero uno dell’omonimo gruppo, aveva espresso già nel maggio scorso tutta la sua preoccupazione per gli squilibri nel costo dell’energia all’interno dei confini europei. Per cui, chiedeva Arvedi, sarebbe necessario instaurare un mercato energetico che generi un prezzo «accessibile a tutti i paesi in egual misura».
E, peraltro, quando si parla di acciaierie vale la pena chiedersi quanto queste dinamiche possano influenzare i piani del governo italiano sull’Ilva. Proprio alcuni giorni fa sindacati hanno proclamato uno sciopero perché non hanno ritenuto suffi cienti le rassicurazioni di Palazzo Chigi sul futuro dello stabilimento di Taranto. Il costo dell’energia è una delle voci di costo più rilevanti tra quelle che pesano sul rilancio della più grande acciaieria d’Europa.
Italia spiazzata
Preoccupato è anche Fabio Zanardi, presidente di Assonfond, l’associazione di Confindustria che rappresenta le fonderie Italiane. Zanardi parla senza mezzi termini di «un potenziale svantaggio cronico rispetti i nostri competitor europei».
Gli aiuti francesi e tedeschi si tradurrebbero quindi in una vera e propria minaccia per un settore energivoro, quello delle fonderie, che conta in Italia un migliaio di aziende, 25 mila addetti e un fatturato complessivo di circa 7,5 miliardi di euro.
Da qui l’appello: «Avevamo proposto al governo di introdurre misure strutturali (electricity e gas release) per permettere alla manifattura di restare competitiva. Sono interventi contenuti nella bozza di decreto-legge da troppo tempo in attesa di approvazione e bloccato dai rilievi sulla proroga del mercato tutelato. È fondamentale sbloccare questi provvedimenti, pena la sopravvivenza stessa dei settori energy-intensive italiani».
Per l’Italia si pone il problema tutto politico di come affrontare la questione a Bruxelles. «Non entro nel merito del caso tedesco, che verrà approfondito in sede europea – esordisce l’esponente della commissione europarlamentare per il mercato, Brando Benifei (Pd) – Negli ultimi anni il mercato è stato sotto pressione e abbiamo avuto un regime di aiuti di Stato per reagire al momento di difficoltà della pandemia.
Ma questo non può diventare un meccanismo stabile: si rompono il mercato comune e la concorrenza. La soluzione deve passare invece attraverso una politica fiscale e di bilancio comuni, mentre il NextGenEu deve essere reso permanente. Questo farebbe si che non ci sia necessità di fare ricorso all’indebitamento nazionale, che alcuni Paesi non si possono permettere».
Secondo Benifei, questo tema si lega con la questione della riforma del Patto di Stabilità. Ma qui, al nocciolo, si rivela l’altra grande debolezza del nostro Paese, che gravato da un debito ben più elevato di Germania e Francia non ha neppure le stesse capacità di intervento.
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