- Riuscirà l’imprenditore di Agordo a smentire l’ultima profezia sulla maledizione dell’eredità?
- Nel 2021 l’allora 86enne Del Vecchio ha modificato lo statuto di Delfin per riservarsi il diritto di nominare il suo successore e ha sempre rifiutato l’idea di far entrare i figli nel consiglio di amministrazione.
- La volontà della famiglia però non è chiara e i mercati temono perfino il disimpegno da Generali e Mediobanca, dopo una scalata che ha reso difficile sostituire il ruolo di azionista del fondatore di Luxottica.
Riuscirà Leonardo Del Vecchio a sfatare anche l’ultima profezia sull’imprenditoria italiana, quella che vede nel passaggio agli eredi una maledizione? Gli eredi proseguiranno le sue battaglie o amministreranno semplicemente il patrimonio ricevuto? La domanda ora cruciale, circola da mesi, anni, e è diventata battente da quando Del Vecchio ha iniziato la sua ultima battaglia per rovesciare la guida delle assicurazioni Generali e staccarle dall’orbita di Alberto Nagel, una battaglia la cui strategia industriale non era ancora chiara e che lo ha visto a fianco di un gemello molto diverso e molto più politico come Francesco Gaetano Caltagirone.
L’imprenditore morto questa mattina all’età di 87 anni si vantava, a ragione, di aver sempre contraddetto le previsioni facili (e sbagliate) sul destino suo e delle sue imprese.
Le profezie smentite
Gli piaceva raccontare di quando a fine anni Sessanta, a causa della rottura con i soci che volevano mantenerlo all’angolo nel ruolo di terzista, la banca gli chiuse i conti e lui riuscì a farsi finanziare da un altro istituto di credito, ripresentandosi davanti a chi non gli aveva dato, letteralmente, credito, come unico padrone di quello che sarebbe poi divenuto un impero miliardario.
Della sua Luxottica diceva che seguiva una strategia industriale che era opposta a quella insegnata nelle Business School. Tanto per citarne un assaggio, per esempio, invece che esternalizzare si comprava i fornitori che gli piacevano di più e ancora nel 2021 il bilancio di Luxottica srl, la “casa madre” di Agordo, oggi controllata da Luxottica Group, testimonia che la spesa per materie prime è circa il doppio di quella per semilavorati.
Attraverso la sua strategia “anticonformista” però ha inanellato obiettivi da manuale che molti imprenditori ammaliati dalle business school hanno fallito.
Generali, Caltagirone si dimette dal consiglio di amministrazione
Mentre la maggioranza delle aziende italiane, pure quelle export oriented e di successo, rimaneva sottodimensionata, lui aveva capito la legge del ventesimo secolo: i vincitori di un mercato si prendono tutto, e aveva messo la crescita dimensionale in cima alle sue priorità, anche sfidando i suoi stessi manager.
Andrea Guerra, che per anni è apparso il suo delfino designato, non era convinto della operazione sognata da Del Vecchio: un gruppo globale dell’occhialeria che per nascere doveva per forza passare dal matrimonio con la francese Exilor. Definita da molti come la “solita svendita” a Parigi, in ossequio a un tic italico, a volte corretto, molto più spesso solo abitudine provinciale, quell’unione si è rivelata invece vincente. La sua Luxottica diventata EssilorLuxottica Sa - sede in rue Paul Cézanne, 15 minuti a piedi dall’arco di Trionfo -, ha dal 2020 come amministratore delegato quel Francesco Milleri che per Del Vecchio è stato consulente, braccio destro, vicino di casa, compagno di vacanze, e nell’ultimo periodo anche di più.
L’ultima eredità
Del Vecchio, rude come un imprenditore lombardo di origine e veneto d’adozione può essere, non aveva mai nascosto la sua idea: nessun figlio in consiglio di amministrazione, diceva lui che di figli ne ha avuti sei, da tre donne diverse. Lo schema della spartizione del suo patrimonio miliardario sulla carta è noto da anni: il 25 per cento della sua finanziaria Delfin, la holding famigliare, alla seconda moglie Nicoletta Zampillo, risposata nel 2010 e che vanta un rapporto stretto con lo stesso Milleri, e il 12,5 per cento a ognuno dei sei figli. Ma poco meno di un anno fa di quella holding Del Vecchio ha cambiato lo statuto riservandosi il diritto di nominare il sostituto che potrebbe prendergli il posto e fare le sue veci.
La guerra per Generali mostra i limiti di una classe dirigente al tramonto
Tutto fa pensare che l’erede possa essere Milleri, sempre da statuto per modificare la composizione del consiglio di amministrazione di Delfin serve l’88 per cento del capitale e quindi un accordo tra i soci. Assicurare la holding, però, non chiarisce la volontà degli azionisti rispetto all’intera galassia Delfin, che non è solo Luxottica, l’immobiliare Convivio, ma ovviamente anche le partecipazioni pesanti in Mediobanca, Generali e Unicredit.
Nonostante i dubbi sulla partnership con Meta (Facebook), i bilanci delle imprese nel complesso brillano. In particolare Luxottica srl ha chiuso il 2021 con 107 milioni di euro di utili, rispetto ai circa 44 milioni di euro del 2020, aumentando gli addetti di mille unità. Anche perché continua a vendere alla capogruppo e controllante Luxottica Spa che nel 2020 ha visto gli utili a 79 milioni a causa della pandemia. Sul fronte finanziario, invece la strategia non è molto chiara.
Il timore del disimpegno
Secondo tutti gli osservatori della scalata di Delfin come primo azionista di Mediobanca (oggi al 19 per cento), Milleri è stato braccio e pure mente della iniziativa, a cui si è poi associata a corollario il patto poi sciolto con Caltagirone e la fondazione Crt sulle Generali. Nelle sue rare prese di posizione Del Vecchio ha rimproverato a Nagel e Donnet scarse ambizioni, ma al contrario di tutte le battaglie condotte da Del Vecchio, è difficile dire quali fossero gli obiettivi concreti.
I maldicenti ipotizzano persino che la scalata a Mediobanca sia stata la vendetta per le mire deluse di Del Vecchio sull’Istituto europeo di oncologia, nel cui board siede proprio Milleri. Ora però dopo la vittoria di Donnet nell’assemblea di Generali, brutto colpo per l’asse Del Vecchio- Caltagirone – tutti si chiedono se gli eredi avranno intenzione di proseguire l’avventura. Gli analisti non escludono una ritirata di Delfin dagli investimenti che al momento hanno portato meno frutti e infatti oggi i titoli di Mediobanca e Generali perdono quasi il tre per cento. Le incognite sulla eredità di Del Vecchio in Borsa sono una zavorra.
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