Come uno stormo di avvoltoi, i leader della maggioranza aspettano gli esiti dell’adesione al concordato preventivo biennale, pronti ad azzuffarsi per contendersi il bottino. La paura che i risultati siano magri li spingono ad avanzare ipotesi, non meglio declinate, di riapertura termini.

In realtà il tema richiederebbe molta più cautela, perché non tutto il gettito che arriverà dal concordato è gettito aggiuntivo. Infatti, gli incentivi che sono stati pensati per indurre all’adesione una platea di contribuenti molto recalcitrante hanno un costo non trascurabile sull’esito dell’operazione, che potrebbe quindi persino rivelarsi in perdita.

Doppio conteggio

È da tutti riconosciuto che la bassa adesione rende massima la probabilità che essa abbia interessato prevalentemente le persone per cui l’operazione è economicamente conveniente. Si tratta di quelli il cui reddito effettivo è maggiore rispetto al reddito concordato su cui pagheranno le tasse. Va ricordato che i contribuenti forfetari potevano aderire al concordato per il solo 2024. Al 31 ottobre, data ultima per l’adesione, erano ragionevolmente in grado di conoscere il proprio reddito effettivo per il 2024 e valutare quindi se l’adesione avrebbe o meno generato un guadagno.

Se aderiscono quelli a cui conviene è lo Stato che ci rimette e il gettito cala anziché crescere. Questo effetto risulterebbe amplificato con la riapertura dei termini che favorirebbe i calcoli di convenienza, e quindi l’adesione, di una fetta sempre più grande di soggetti a cui il concordato permette di pagare meno di quanto pagherebbero non aderendo.

Infatti, il reddito in più rispetto a quello dichiarato nel 2023 che risulterà dalle adesioni al concordato preventivo non può essere considerato integralmente come recupero dell’evasione. Una parte del gettito incassato lo sarebbe stato comunque: per quanto elevata (il 66,7 per cento), infatti, l’evasione media del reddito da parte di lavoratori autonomi e piccole imprese non è pari al 100 per cento. Questa parte è già scontata nell’andamento tendenziale delle entrate pubbliche e non si può utilizzarla per finanziare altre misure, perché significherebbe contarla due volte.

Sul reddito incrementale (la parte del reddito concordato che eccede il reddito dichiarato l’anno scorso) si paga un’imposta sostitutiva con aliquote molto inferiori a quelle ordinarie. Quindi la parte supplementare di reddito dichiarata dai contribuenti che non deriva da emersione dell’evasione genera una perdita per l’erario, perché viene tassata con aliquote più basse di quelle considerate nei conti tendenziali. Perdita di cui, incomprensibilmente, non si è tenuto conto nel decreto legislativo che ha modificato le regole del concordato introducendo l’ennesimo favore di queste aliquote basse.

Nessun tesoretto

L’adesione al concordato è stata associata alla possibilità di aderire a un ravvedimento operoso, innovativo in quanto forfetario, che permette di sanare l’evasione fiscale degli anni pregressi. Il costo di questa operazione, valutata, cumulativamente, dalla relazione tecnica in quasi un miliardo dal 2025 al 2029, ha trovato copertura nella riduzione dei fondi a favore della riforma fiscale. Si tratterà ora di capire se quel costo è stato sopravvalutato o sottovalutato.

Per tutte queste ragioni, gli effetti sul gettito del concordato preventivo, specie in presenza di una adesione che si prospetta bassa e molto selettiva, sono tutt’altro che scontati e possono anche rivelarsi negativi.

Se si generasse comunque un piccolo “tesoretto”, sarebbe veramente improvvido costruire su questi piedi d’argilla misure di cambiamento, inevitabilmente temporanee, della struttura dell’Irpef, come la suggerita riduzione dell’aliquota del secondo scaglione, o di estensione della flat tax per gli autonomi, che poi chiederanno il conto, in termini di finanziamento, negli anni a venire, aprendo la via a ulteriori tagli dolorosi della sanità, dell’istruzione, dei trasporti, della lotta al dissesto idrogeologico.

© Riproduzione riservata