- Sulla vendita di Ita Airways si allunga l’ombra lunga della campagna elettorale in una sorta di riedizione del 2008 quando Silvio Berlusconi bloccò la cessione di Alitalia decisa dal governo Prodi
- Questa volta è Giorgia Meloni ad alzare la voce, incalzata da uno dei suoi fedelissimi, il romano Fabio Rampelli, contrarissimo alla vendita ritenuta una resa allo straniero
- La società di Fiumicino ha chiesto altri 400 milioni allo stato in aggiunta ai 750 ricevuti finora. L’ultima parola spetta al capo del governo dimissionario, Mario Draghi
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L’ombra lunga del 2008 si staglia minacciosa sulla vendita di Ita Airways, la compagnia che dal 15 ottobre 2021 ha preso il posto di Alitalia. Come 14 anni fa la faccenda rischia di finire nel tritacarne della politica, anzi, della politica nella sua versione più urlata ed esasperata: la campagna elettorale.
Allora il processo di cessione di Alitalia al gruppo franco-olandese Air France-Klm avviato dal governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi si scontrò frontalmente con il filibustering propagandistico dell’opposizione.
Silvio Berlusconi scelse proprio Alitalia come uno dei temi centrali della sua campagna elettorale e al grido di viva il tricolore e no alla vendita allo straniero riuscì a bloccare l’operazione che ormai era arrivata a un soffio dalla conclusione.
Come è andata a finire lo sanno tutti: al posto di Air France-Klm il centrodestra vincitore delle elezioni imbastì una cordata di imprenditori amici a cui fu affidata la compagnia di Fiumicino. Fu un fiasco totale e il trasporto aereo italiano porta ancora le stigmate di quell’avventura.
Il posto di Berlusconi ora lo sta prendendo Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia che su questo tema ascolta in particolare Fabio Rampelli, esponente romano del partito contrario a spada tratta alla cessione della compagnia, considerata oggi come 14 anni fa una resa disonorevole allo straniero.
Viva l’Italia
Tanto più perché a differenza di allora la società secondo Rampelli sarebbe risanata anche se i dati dicono esattamente il contrario. In un comunicato la Meloni ha chiesto al capo del governo dimissionario Mario Draghi, di fare chiarezza sull’operazione in corso aggiungendo che in ogni caso non si tratta di ordinaria amministrazione, ma di un argomento delicato e importante di politica economica che sarebbe opportuno lasciare in eredità al nuovo governo. Cioè alla stessa Giorgia Meloni che sulle ali dell’entusiasmo per i sondaggi elettorali già si sente padrona di palazzo Chigi.
Per ora gli altri partiti tengono un profilo più basso e sarebbe sorprendente non fosse così: tutti quanti fino a qualche giorno fa erano al governo insieme e si sono assunti più o meno esplicitamente la volontà politica di avviare il processo di vendita di Ita.
Quindi ora non possono cambiare faccia in un amen, anche se la campagna elettorale è lunga e a meno che la partita di Ita non venga chiusa dal Consiglio dei ministri di giovedì, c’è da scommetterci che prima o poi riserverà sorprese.
I capi di Ita, Alfredo Altavilla presidente e Fabio Lazzerini amministratore, sperano all’unisono che Draghi chiuda in fretta la storia della vendita anche perché sanno che da sola, senza alleanze internazionali solide, la compagnia che hanno cercato di mettere in piedi non ce la fa a camminare.
Anche se poi Altavilla e Lazzerini bisticciano perfino su quale sia il compratore ideale: favorevole Altavilla alla vendita alla cordata Msc-Lufthansa, favorevole Lazzerini alla cordata concorrente Certares più Air France e Delta come partner industriali.
Ita imbarca acqua da tutte le parti e in autunno rischia di aggiungere il suo fallimento agli altri inanellati negli anni passati da Alitalia.
I presupposti ancora una volta ci sono: le previsioni dicono che il prezzo del carburante, che è una delle voci di costo più rilevanti di ogni azienda dei voli, aumenterà ancora nei prossimi mesi e che nello stesso tempo finirà quella sorta di cuccagna di cui hanno beneficiato tutte le compagnie tra la primavera e l’estate quando la voglia di volare è esplosa in Europa e nel mondo. In autunno il traffico passeggeri calerà parecchio e a quel punto Ita sarà di nuovo con l’acqua alla gola.
I rischi per l’indotto
Con essa rischiano di entrare nel vortice anche le aziende che dipendono dalle sorti di Ita, la napoletana Atitech che per la manutenzione impiega oltre 1.500 lavoratori, poi Covisian, la ditta che si è aggiudicata la gestione del call center mettendo al lavoro circa 200 persone. E infine Swissport, la società che ha preso il posto dell’handling Alitalia (altre 3.500 persone).
Cercando di anticipare il patatrac i capi di Ita hanno chiesto al Ministero dell’economia un’altra tranche del prestito statale che l’Italia è autorizzata dall’Unione europea a concedere a Ita. Altri 400 milioni di euro che si aggiungono ai 750 già elargiti fino ad ora e che evidentemente non sono sufficienti.
Al netto delle turbolenze della politica, la procedura per la vendita di Ita sarebbe ormai praticamente conclusa da un punto di vista formale. I due contendenti hanno presentato le loro offerte il 5 luglio, il ministero dell’Economia ha scelto e quindi ora ci sarebbe solo da concludere l’iter ufficialmente avviato alla fine dell’inverno con un decreto della presidenza del Consiglio dei ministri (Dpcm).
Secondo indiscrezioni insistenti ma non confermate ufficialmente la gara sarebbe stata vinta dal gruppo Msc-Lufthansa ritenuto più valido dal ministero dell’Economia sia dal punto di vista economico sia industriale e della governance aziendale. Msc-Lufthansa ha offerto 850 milioni per Ita e la futura compagine azionaria sarebbe così composta: 60 per cento Msc, 20 Lufthansa, 20 ministero dell’Economia.
Il fondo statunitense Certares ha offerto invece circa 600 milioni con i quali si assicurerebbe il 60 per cento dell’azienda di Fiumicino lasciando il 40 al ministero. A questo punto l’esito della partita è tutto nelle mani del capo del governo dimissionario.
Senza bisogno di alcun voto pro o contro, Draghi nel prossimo Consiglio dei ministri potrebbe limitarsi a una semplice comunicazione per dire che l’iter avviato deve proseguire fino alla conclusione. Oppure fare esattamente l’opposto, non dire nulla e lasciare che sia il prossimo governo a chiudere la partita. In un caso o nell’altro quella di Draghi sarà una scelta politica.
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