Kirghizistan: +850 per cento. Armenia: +145 per cento. Kazakistan: +100 per cento. Queste percentuali monstre indicano l’aumento del valore delle esportazioni di prodotti italiani in rapporto al 2021, quando la guerra in Ucraina non era ancora scoppiata. Così, dopo due anni e mezzo, il meccanismo della triangolazione per continuare a fare affari con la Russia è più vivo che mai.

Ne sanno qualcosa – tra gli altri – i produttori di vini e spumanti, che proprio nella Federazione russa concentrano una buona fetta del loro mercato estero. Un business che non può fermarsi, e i Paesi dell’ex Unione Sovietica sono presto diventati le mete predilette da chi vuole aggirare le sanzioni, e dal 24 febbraio 2022 i numeri dell’export da e verso questi paesi hanno raggiunto cifre da capogiro: una crescita degli scambi “alternativi” che non sembra volersi arrestare. Un fenomeno che non ci vede soli protagonisti, ma che riguarda l’intera Europa.

Le nuove rotte verso Mosca

Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina e le sanzioni occidentali hanno travolto i rapporti commerciali con Mosca, si è verificata una crescita esponenziale degli scambi con i paesi limitrofi alla Federazione russa, che non si sono uniti all’impianto sanzionatorio di Stati Uniti e Unione europea.

Se nel 2021 il valore annuale delle esportazioni italiane in Armenia ammontava a 138 milioni di euro, dopo due anni di guerra (e connesse sanzioni) è schizzato a 338 milioni, registrando un aumento del 145 per cento. Difficile pensare che siano tutti prodotti destinati a rimanere nel piccolo paese caucasico.

Se si analizza il caso di un altro paese dell’ex Unione Sovietica come il Kirghizistan, il trend è ancora più impressionante: si passa da un export di 22,5 milioni di euro nel 2021 ai 214 milioni di euro del 2023, un incremento dell’850 per cento, mentre l’import cresce del 244 per cento. Il rapporto tra il valore delle importazioni e quello delle esportazioni si inverte analizzando il caso di un altro Paese dell’Asia centrale, il Kazakistan: qui l’import è aumentato addirittura del 307 per cento, passando da meno di un miliardo e 200 milioni nel pre guerra a sfiorare i 5 miliardi.

Fenomeno destinato a crescere ancora, visto che al termine del primo anno di guerra il valore delle importazioni si era fermato sopra i 3 miliardi e 700 milioni, mentre l’export in questo biennio è cresciuto “solo” del 99,7 per cento.

A pensar male, sembrerebbe quasi che gli operatori italiani e russi abbiano inaugurato una via dei commerci ben precisa, con i russi che importano merce italiana attraverso il Kirghizistan per poi esportare i loro prodotti passando dal Kazakistan. Anche altri paesi della regione dell’Asia centrale come Tagikistan e Uzbekistan non sono esenti dal grande gioco della triangolazione: qui l’export è cresciuto rispettivamente del 103 e del 36 per cento rispetto al pre guerra.

Un ruolo lo giocano anche due Paesi considerati piuttosto vicini all’Occidente, come la Turchia – paese membro della Nato – e la Georgia, che ha richiesto formalmente l’adesione all’Unione europea poco dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. L’export italiano verso Ankara è cresciuto del 36 per cento negli ultimi due anni, quello verso Tbilisi registra un incremento del 35,4 per cento.

Così fan tutti?

Quella della triangolazione tuttavia non è una prerogativa italiana, al contrario è una pratica diffusa tra i principali paesi europei, i cui operatori economici non vogliono rinunciare a fare affari con la Russia. La Germania, il paese che forse più di tutti ha accusato il colpo delle sanzioni, dovendo rinunciare al gas russo che le garantiva energia a basso costo, cerca di attutirne l’effetto aumentando a dismisura il livello degli scambi commerciali con i paesi dell’ex Urss.

Il valore delle esportazioni di prodotti tedeschi in Kazakistan nel giro di due anni è infatti passato da 1,7 a 3,6 miliardi di euro, un incremento del 200 per cento, mentre l’import è cresciuto del 25 per cento. Nel caso del Kirghizistan l’export cresce addirittura di più del 1.200 per cento, passando dai 59 milioni di euro del 2021 ai 778 con cui ha chiuso il 2023. Un trend che si conferma prendendo in esame il caso dell’Armenia, dove le esportazioni e le importazioni tedesche crescono rispettivamente del 149 e del 45 per cento.

Stesso discorso per la Francia, le cui esportazioni negli ultimi due anni sono cresciute del 144 verso l’Armenia, del 103 per cento verso il Kazakistan e addirittura di 503 punti percentuali nei confronti del Kirghizistan. Non è da meno la Spagna, il cui valore delle esportazioni verso la piccola ex repubblica sovietica dell’Asia centrale è cresciuto del 375 per cento rispetto al 2021.

La classe politica europea sembra concorde nel dichiarare finita l’epoca di cooperazione con la Russia, ma molti imprenditori non sembrano essere d’accordo, e continuano a fare affari con Mosca, cercando nuove vie.

Gli insospettabili

Un simile atteggiamento da parte dei paesi dell’Europa occidentale può facilmente attirare le critiche dei “falchi”, ovvero quei paesi che propugnano una postura più muscolare e meno dialogante nei confronti della Russia, schierandosi in maniera ferma dalla parte dell’Ucraina invasa, che ha quindi tutto l’interesse a un indebolimento economico di Mosca. Peccato che la triangolazione sia pratica ben nota anche a quelle latitudini.

Se si prende il caso della Polonia, bastione antirusso per eccellenza, si nota infatti una crescita astronomica del livello di esportazioni verso il Kirghizistan: +1.746 per cento. Bishkek è diventata l’Eldorado dei commercianti polacchi? Difficile da credere.

Anche il Regno Unito, altro nemico giurato di Mosca, non rinuncia alla triangolazione, e dal 2021 a oggi l’export da Londra è cresciuto vertiginosamente, registrando un +1.037 per cento. Così fan tutti, verrebbe da dire.

Per contrastare la triangolazione dei commerci con la Russia, l’Ue, gli Stati Uniti e altri alleati occidentali stanno attuando diverse misure, come controlli più severi sulle esportazioni, espansione delle sanzioni secondarie (quelle che colpiscono i paesi che fanno affari con Mosca) e pressioni diplomatiche sui suddetti paesi, cercando di esercitare una moral suasion.

Tuttavia è un’arma spuntata: questi paesi dipendono fortemente dalla Russia, e intraprendere con decisione simili azioni porterebbe inevitabilmente a un deterioramento dei rapporti, quando invece l’obiettivo è di attrarli il più possibile nell’orbita occidentale. Non è poi da escludere che l’Europa preferisca chiudere un occhio di fronte a simili comportamenti, disturbando il meno possibile i suoi imprenditori, già insofferenti alle sanzioni verso Mosca. A dispetto dei proclami dei politici, la triangolazione è qui per restare.

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