- L’esito della guerra è incerto, ma molti invocano misure volte a farne pagare il fio all’invasore. I 300 miliardi di dollari di riserve ora congelate, e altre somme che Mosca incassa, dovrebbero alimentare un fondo per ricostruire il paese.
- In un mondo più giusto parrebbe anche la cosa da fare. Spero di non parere troppo “realista” se elenco i motivi per cui l’idea va invece, per me, accantonata.
- Gli americani sono stati lungimiranti quando hanno ricostruito l’Europa con il piano Marshall, evitando di ripetere gli errori fatti dopo la Grande guerra. Processare un paese intero non porta da nessuna parte.
L’invasione russa in Ucraina ha causato e causerà morti, feriti, profughi, distruzione di attrezzature, edifici, raccolti, ecc.
Per una volta, non ci sono dubbi su chi ha voluto l’attacco e chi, costretto, si difende. Ogni evento ha delle cause profonde e dei pretesti; lo capiranno gli storici, ma dovere minimo oggi è distinguere fra chi attacca e chi subisce.
Né vale, per giustificare le nequizie odierne, evocare quelle di ieri, domandando “E allora l’Iraq?”.
Anche gli Usa di George W. Bush nel 2003 invasero l’Iraq con flebili pretesti e danni ancora, dopo vent’anni, maggiori di quelli in Ucraina, ma quella nequizia non assolve questa; comunque allora grandi masse di cittadini e stati si opposero alla guerra, cui l’Italia allora berlusconiana s’accodò scodinzolante, sottomessa, più che alleata.
Europeismo e nazionalismo
L’Ucraina emergerà dal conflitto sconvolta nelle istituzioni, nel tessuto civile, nell’economia. Il cammino verso la Ue, se continuerà, sarà lungo e complicato, non da ultimo per la corruzione che tanto nuoce a Kiev; se entrasse, andrebbe in un “anello esterno”, a meno di radicali modifiche al sistema decisionale.
L’augurabile successo della resistenza rafforzerà certo un nazionalismo già presente, ma sopravvalutato nelle dimensioni da chi fiancheggia, si spera inconsapevole, l’accusa di nazismo che la Russia scaglia con spregio del ridicolo.
Questa resterà forse il vecchio rebus, avvolto in un mistero, dentro un enigma, magari ricondotta nei confini con una guida meno incline a folli voli.
L’esito della guerra è incerto, ma molti invocano misure volte a farne pagare il fio all’invasore. I 300 miliardi di dollari di riserve ora congelate, e altre somme che Mosca incassa, dovrebbero alimentare un fondo per ricostruire il paese.
È facile approvarla e in un mondo più giusto parrebbe anche la cosa da fare. Spero di non parere troppo “realista” se elenco i motivi per cui l’idea va invece, per me, accantonata.
Le accuse all’occidente
Anzitutto per sottrarre l’occidente all’accusa di usare due pesi e due misure. Eh, già, perché la domanda “E allora l’Iraq?”, stolida se vuol giustificare questa invasione con quella di George W. Bush (non di George H.W. Bush, invasore di un Iraq che aveva attaccato uno stato petrocratico sì, ma sovrano), è invece giusta se volta a chi vorrebbe addebitare alla Russia i danni ucraini.
Gli Usa non hanno mai riconosciuto i danni causati dalle loro guerre; perfino nel Laos, bombardato a tappeto senza mai esser entrato nel conflitto vietnamita, gli Usa si rifiutano di sostenere gli oneri, se non altro dello sminamento dei campi devastati dalle bombe a grappolo, che ancora mietono centinaia di vittime all’anno.
Solo poche meritorie associazioni volontarie americane cercano di emendare le colpe che lo zio Sam ignora.
Se un ipotetico tribunale intimasse ala Russia di pagare, anche una nuova guida politica non potrebbe che farsi scudo del rifiuto degli Usa di pagare per le loro guerre di aggressione.
Quale serio tribunale internazionale avrebbe la convinzione, prima ancora della forza, per costringerla a pagare, senza mettere sotto accusa anche altre inutili violenze?
Una linea “dura” avrebbe pochi e infausti precedenti. Il richiamo ovvio è alla pace imposta a Versailles nel 1919. Fa testo l’accusa di J.M. Keynes contro Le conseguenze economiche della pace.
Nella delegazione britannica, cercò di opporsi a riparazioni che avrebbero affamato milioni di innocenti bambini tedeschi, scontrandosi con chi, Francia in testa, riteneva inevitabile una nuova guerra, e solo voleva che la Germania ci arrivasse stremata.
Di qui la richiesta di 270 miliardi di marchi-oro, circa 100mila tonnellate di oro, che Berlino ebbe gravi difficoltà a pagare; sarebbe stata esentata a Losanna nel 1932, ma il Congresso Usa non ratificò in tempo l'accordo, su cui Hitler stampò i propri stivali nel 1933.
Il Regno d’Italia, fra i vincitori nel 1919, fu fra gli sconfitti nel 1945; avemmo dunque un’esperienza prima da vincitori spietati, poi da sconfitti fortunati.
Ci trovammo dalla parte giusta quando l’Urss, che aveva pagato la vittoria con la morte di decine di milioni di soldati e cittadini, fece calare nel 1948 sull’Europa la “cortina di ferro”.
Avemmo anche l’altra grande fortuna di aver perso, noi e la Germania, con un’America aperta che sostenne, col Piano Marshall, la ricostruzione europea.
Alla fine gli è ben convenuto, e quei lungimiranti americani ci contavano, ma che sarebbe avvenuto se ci fossimo trovati davanti non Truman, erede di Roosevelt, ma un Trump ante litteram? Speriamo che, quando la nebbia della guerra si poserà, ci siano, in Russia, in Ucraina, nella Ue e negli Usa, le condizioni per un nuovo piano Marshall; per ricostruire l’Ucraina, prepararla alla Ue e magari collaborare anche alla nascita di una nuova Russia. Processare un paese intero non porta da nessuna parte.
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