L’indice dei prezzi al consumo negli Stati Uniti è calato in luglio al 2,9 per cento. Ora è molto più probabile che a settembre la Fed e anche la Bce decidano di ridurre il costo del denaro
Arriva dall’ America la notizia che apre la strada a un prossimo taglio dei tassi d’interesse per rilanciare, almeno si spera, la crescita economica anche in Europa. L’ottimismo si spiega con il dato dell’inflazione statunitense nel mese di luglio, diffuso mercoledì mattina poco prima dell’apertura degli scambi a Wall Street, quando in Italia erano le 14.30.
Ebbene, il mese scorso la crescita dei prezzi negli Usa si è fermata al 2,9 per cento, un decimale in meno rispetto a giugno.
È un risultato migliore anche delle attese degli analisti che in media prevedevano un andamento stabile. Questo significa che ormai restano ben pochi dubbi sul fatto che la Federal Reserve (Fed) americana a settembre decida di ridurre il costo del denaro.
Resta l’incertezza sull’entità della sforbiciata. Potrebbe essere di un quarto di punto (0,25 per cento) oppure anche del doppio e sarebbe la prima inversione di rotta dopo che la Fed per oltre un anno ha mantenuto i tassi nella forbice 5,25-5,5 per cento, il massimo da 23 anni a questa a parte. A rafforzare le attese dei mercati contribuisce anche il dato della cosiddetta inflazione core Cpi, l’indice che esclude i prezzi di cibo ed energia, di norma più volatili, che a luglio ha fatto segnare un incremento del 3,2 per cento rispetto al 3,3 per cento di giugno.
Bce sotto pressione
A questo punto è ragionevole pensare che i banchieri centrali interpretino questi numeri come un segnale chiaro che i prezzi si sono raffreddati quanto basta per rivedere al ribasso il livello dei tassi. Le attese sulle prossime mosse della Fed non potranno non influenzare anche le decisioni che sull’altra sponda dell’Atlantico sarà chiamata a prendere la Bce nella prossima riunione in calendario per il 12 settembre.
L’istituzione europea ha annunciato un primo intervento sul costo del denaro a giugno, quando i tassi di riferimento sono stati ridotti dello 0,25 per cento, con il tasso sui depositi fissato al 3,75 per cento. La presidente Christine Lagarde ha ripetuto anche poche settimane fa che le valutazioni della Bce saranno di volta in volta prese sulla base dei dati, parole che hanno lasciato nell’incertezza, e spesso anche nello sconcerto, la gran parte degli investitori, molto critici per questo atteggiamento attendista e poco risoluto dell’autorità monetaria di Francoforte.
Adesso però proprio i segnali più recenti che arrivano dall’economia sembrano giustificare il taglio dei tassi europei.
L’inflazione dell’area euro a luglio è rimasta pressoché stabile al 2,6 per cento su base annuale, con un aumento di solo un decimo di punto percentuale rispetto a giugno. Dall’inizio dell’anno l’indice del costo della vita non ha mai registrato un incremento superiore al 2,8 per cento, il dato di gennaio.
I prezzi sono ancora più freddi in Italia, dove l’inflazione a luglio non ha superato l’1,3 per cento e l’1,9 per cento al netto dei prodotti energetici e del cibo, numeri ormai molto lontani dal 5-6 per cento di solo un anno fa.
L’incognita tedesca
Un altro fattore che con ogni probabilità contribuirà ad aumentare le pressioni sulla Bce per una riduzione dei tassi sono i preoccupanti dati sull’andamento dell’economia tedesca, la più grande del continente. È di martedì la notizia che in Germania l’indice Zew di fiducia degli investitori è calato in Germania da a 19,2 punti, un crollo rispetto ai 41,8 punti di luglio.
C’è grande sfiducia, quindi, sulle prospettive di crescita di Berlino, dopo che il secondo trimestre si è chiuso con il Pil in calo dello 0,1 per cento. Sembra quindi probabile che i banchieri di Francoforte a settembre decidano di dare un primo taglio ai tassi se non altro per favorire la rimonta di una Germania sempre più in crisi.
Borse in bilico
Intanto, i dati sull’inflazione americana resi noti mercoledì e le prospettive di un prossimo intervento della Fed, dovrebbero migliorare l’umore dei mercati azionari che solo una decina di giorni fa avevano svoltato al ribasso per i timori di una possibile recessione in autunno.
A Wall Street la prima reazione positiva è stata però in parte compensata dall’andamento negativo dei titoli tecnologici, a cominciare da Alphabet, la casa madre di Google, sui cui pesano le ipotesi di nuovi ipotetici interventi delle autorità antitrust americane.
Più brillanti gli indici europei con Milano a più 1 per cento, ma servirà tempo per capire se lo scossone di inizio agosto è stato un incidente di percorso oppure il primo episodio di una correzione più ampia.
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