Il Pil italiano crescerà dello 0,9 per cento quest’anno e dello 0,8 nel 2024, con prospettive ancora peggiori per l’equilibrio dei conti pubblici. Il rallentamento dipende molto dal contesto internazionale, con anche l’Ue che vede al ribasso le proprie stime di crescita, ma l’Italia sembra messa peggio
Nel 2023, la crescita italiana sarà ancora più bassa del previsto, con un +0,9 per cento rispetto al +1,2 per cento previsto in primavera. Lo ha annunciato il commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni. La notizia si somma a un altro segnale piuttosto preoccupante per il governo: la produzione industriale è calata dello 0,7 per cento a luglio rispetto a giugno, ma, soprattutto, ha registrato una variazione negativa anche rispetto a luglio dell’anno scorso (-2,3 per cento).
La situazione italiana rientra in un più ampio rallentamento dell’economia europea, con un crescita prevista per l’Ue dello 0,8 per cento quest’anno e dell’1,3 per cento nel 2024 (contro i +1,1 e +1,6 per cento delle stime di primavera), ma il nostro paese rischia di subirne le conseguenze più a lungo. Lo dimostrano i dati per il 2024: la Germania, che andrà in recessione quest’anno, crescerà dell’1,1 per cento il prossimo anno (contro il +0,8 per cento dell’Italia, mezzo punto percentuale al di sotto della media Ue). La Spagna va invece in controtendenza: crescerà del 2,2 per cento quest’anno e dell’1,9 per cento nel 2024.
C’è una nota positiva: le politiche restrittive della Bce stanno spingendo verso il basso l’inflazione: secondo le previsioni, a fine 2023 i prezzi in Italia saranno cresciuti del 5,9 per cento (5,6 nell’Eurozona), mentre nel 2024 l’inflazione scenderà al 2,9 per cento (2,8 nell’Eurozona). Significa che seppure più lentamente di quanto auspicato, la strategia della Bce sta funzionando e l’obiettivo di medio periodo del 2 per cento di inflazione è meno lontano.
La crescita economica in Europa e nel Mondo sta rallentando non poco. Le ragioni sono molte, ma sono soprattutto le politiche per combattere l’inflazione a deprimere la crescita. L’aumento dei tassi di interesse - e, quindi, del costo del denaro da utilizzare per gli investimenti, oltre che dei mutui - ha ridotto la domanda di beni e servizi da parte di famiglie e imprese, che oggi si trovano ad avere meno risorse a disposizione a fronte di prezzi più elevati.
Gioca un ruolo importante anche il rallentamento dell’economia cinese, mercato di sbocco importantissimo per le imprese europee e, soprattutto, tedesche. Anche la situazione in Ucraina continua ad avere un suo peso, sia per l’impossibilità di raggiungere il mercato russo, sia per le tensioni internazionali che, da sempre, hanno un impatto negativo sull’attività economica.
Effetto Superbonus
C’è da chiedersi come mai l’Italia si trovi a soffrire questo rallentamento più degli altri. Nel 2024, infatti, il nostro Paese sarà ultimo in Ue per crescita del Pil. Le ragioni non dipendono solo dalle politiche dell’esecutivo. Partiamo però da quello che il Governo ha fatto: una prima ragione del peggiorare delle prospettive di crescita, lo sottolinea anche la Commissione, è lo stop al Superbonus. La Misura introdotta dal Governo Conte II, costosa e inefficiente, ha spinto il settore edilizio a livelli record, portandolo a trainare la crescita dell’ultimo anno e mezzo. Ora che l’accesso alla misura è stato ampiamente ridimensionato, anche il Pil ha subito la stessa sorte.
Cancellare o quasi il Superbonus è stata una scelta obbligata da parte del governo per arginare la frana dei conti pubblici. Il problema è che Meloni e i suoi non hanno offerto un’alternativa per la crescita, e il sistema produttivo italiano fatica a tenere il passo senza una spinta.
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