La manovra «richiederà sacrifici da tutti», dice Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia: pare un gigante nel governo di Giorgia Meloni, non per meriti propri ma per il penoso livello dei compagni di banco. I sacrifici andrebbero chiesti anzitutto a chi finora s’è sottratto con l’evasione. Niente paura però, “l’erede di Quintino Sella” già innesta la retromarcia. Quando poi aggiunge «andremo a tassare i profitti di chi li fa», dichiara l’ovvio, fa impressione solo nel nostro cortile.

Il parlamento esaminerà il Piano strutturale di bilancio da sottoporre alla Commissione Ue. Fa bene il Pd ad attaccare il governo di Giorgia Meloni. C’è una squallida corsa a regalare condoni a chi evade in media il 70 per cento delle imposte (dati Mef). Alla maggioranza serve un miliardo per contribuire a pagare, nel 2025 e oltre, 20 miliardi di misure varate in precedenza. Dove trovare ogni anno i soldi necessari non si sa, ma «domani è un altro giorno e si vedrà».

La leva fiscale

Il 25 settembre, nel periodico rapporto previsionale, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha spronato gli stati a usare più la leva fiscale per ridurre i debiti pubblici. Molti accusano la concorrenza “sleale” di alcuni stati Ue che starebbero divenendo paradisi fiscali, critica in gran parte infondata.

Si punta il dito sulle norme che attirano le poche nostre imprese maggiori (di grandi non ce n’è più). Così le “nostre” imposte volano verso stati – specie i Paesi Bassi – che ci fan la lezione. Facile “fare i frugali con le imposte degli altri”, per parafrasare una sconveniente, ma efficace, esclamazione.

La materia fiscale nella Ue è di competenza degli stati: ciò dovrebbe essere, oltre che noto, gradito a un governo che lamenta l’invadenza della Ue e vuol limitarne i poteri, per tornare all’Europa “delle patrie”. Le ossessioni dei sovranisti giocano loro contro!

Nella Ue il fisco è tema politicamente ipersensibile. L’ampio rapporto sul “Futuro della competitività europea”, affidato a Mario Draghi dalla presidente della Commissione, lo sfiora appena, definendo «soft» il coordinamento in materia, limitato a processi burocratici e studi senza conseguenze pratiche. E sì che pochi fattori, come l’adesione di ogni stato membro a politiche fiscali idonee, rilancerebbero la competitività perduta dalla Ue. Se Draghi nel rapporto ne resta alla larga è perché non può occuparsene.

Quando la premier ha incontrato Mario Draghi per discutere quel rapporto, ci ha comunicato d’aver con lui convenuto sulla necessità che la Ue emetta debiti propri, sorvolando però sul necessario presupposto dell’emissione: la Ue fatica a trovare “risorse proprie” cui attingere per pagare il debito. I governi sovranisti, fra cui il nostro, non intendono concederle alla matrigna Bruxelles, e gli stati “frugali” non diranno mai sì, finché chi ha alti debiti pubblici – in primis l’Italia – non risanerà i conti. Del tema Mario Draghi ha certo parlato alla furbetta premier, che non ce l’ha voluto dire.

Da decenni ormai soffriamo la mancanza di assetti fiscali coerenti e organici, capaci di favorire un sano sviluppo economico e ridare standard dignitosi a basilari servizi pubblici da cui dipende la coesione sociale. Meloni e la sua retrograda maggioranza vanno però in direzione contraria.

I frugali saranno sì scorbutici, ma usano i loro soldi anche per attrarre grandi gruppi con forti componenti di innovazione, spesso ad alta tecnologia; questi assumono un gran numero di persone altamente qualificate – tante in fuga dall’Italia – cui offrono prospettive di crescita che i nostri piccoli evasori, favoriti anche dalla flat tax, neanche possono immaginare.

Protetti dalla maggioranza, essi sotto-pagano preferibilmente in nero quattro dipendenti travestiti da autonomi. Riceverà un premio chi indovina quale scelta farà vivere meglio i propri cittadini. Se al governo non sanno quel che fanno è un’aggravante; gli incompetenti, selezionati perché “fedeli alla capa”, le faranno più danni degli avversari politici.

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