«Gli indicatori macroeconomici ci restituiscono la fotografia di un’Italia solida, in grado di affrontare le difficoltà meglio di altre nazioni europee, un’Italia che è tornata a correre». Lo ha detto Giorgia Meloni un paio di giorni fa, quando tra una telefonata a Donald Trump, un’altra a Elon Musk e il vertice europeo di Budapest, ha trovato il tempo di salutare gli imprenditori di Brescia e Bergamo riuniti in assemblea. Il messaggio della premier forse è stato accolto con qualche perplessità da una platea informata quanto basta per capire che la realtà non coincide con il racconto di Meloni.

La frenata

A ulteriore smentita dell’ottimismo di governo, ieri l’Istat ha pubblicato una serie di dati che illuminano uno scenario tutt’altro che rassicurante per l’economia italiana. A settembre, rileva l’istituto di statistica, la produzione industriale è diminuita dello 0,4 per cento rispetto ad agosto e il terzo trimestre dell’anno ha fatto segnare un calo dello 0,6 per cento in confronto ai tre mesi precedenti.

Se poi si allarga lo sguardo, il quadro è ancora più sconfortante, visto che da gennaio e settembre la manifattura ha rallentato il passo del 3,4 per cento e la frenata è pari al 4 per cento se si considera il periodo da settembre 2023 a settembre 2024. Piove sul bagnato, perché, come segnala l’Istat, il dato della produzione industriale è negativo da 20 mesi.

Effetto Stellantis

Sul risultato finale pesa la grave crisi di Stellantis, che ha mandato in negativo del 15,4 per cento nell’arco di un anno l’indice della fabbricazione di mezzi di trasporto. Va male anche il tessile abbigliamento, in contrazione del 10,7 per cento, così come la metallurgia, meno 5,7 per cento. Il quadro complessivo è quello di un’industria che fatica molto, soprattutto nella produzione di beni di consumo, che ha rallentato del 2,5 per cento nel mese di settembre e anche le costruzioni, reduci da una fase di forte espansione, in agosto (ultimo dato disponibile) hanno invertito la marcia, con un calo dell’1,8 per cento rispetto ad agosto.

A questo punto le speranze di rimonta sono affidate all’ultimo trimestre dell’anno, che però si annuncia tutt’altro che facile. Non per niente, come rileva ancora l’Istat, il clima di fiducia delle imprese è ai minimi da aprile del 2021.

In questi ultimi mesi è venuto a mancare anche il traino delle esportazioni, diminuite nei primi otto mesi dell’anno dello 0,6 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023. Il calo è stato ancora più marcato, scrive l’Istat, per quanto riguarda le vendite di prodotti italiani nella Ue, che fanno segnare meno 2,6 per cento tra gennaio e agosto. Un dato che riflette soprattutto la crisi della Germania.

La scommessa di Giorgetti

Questi numeri però non bastano a smontare la narrazione ottimistica del governo. Giancarlo Giorgetti, per esempio, vede l’Italia crescere più velocemente del previsto.

«Non sarei stupito da eventuali revisioni al rialzo delle stime preliminari del Pil 2024», ha detto giovedì il ministro dell’Economia nella sua audizione in parlamento sulla prossima manovra di Bilancio. Intanto però le stime dell’esecutivo, ancorate a un Pil a più 1 per cento quest’anno, appaiono distanti da quelle di altri osservatori autorevoli come la Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di bilancio. Quest’ultimo il mese scorso ha corretto al ribasso di due decimi di punto allo 0,8 per cento la sua previsione di crescita per il 2024, a causa anche della «persistente debolezza dell’industria, in particolare del comparto manifatturiero». Bankitalia è ancora più pessimista e vede un aumento del Pil non superiore allo 0,6 per cento.

Giorgetti invece scommette su un ultimo trimestre dell’anno che «torna in espansione», dopo la crescita zero dei tre mesi estivi. Una scommessa ad alto rischio, quella del ministro, ma le ragioni della propaganda a volte sono più forti anche della statistica.

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