- Il piano «Italia a un giga» per connettere il paese voluto dal ministro Colao considera per la prima volta la velocità reale delle connessioni nel momento di picco e non la semplice velocità massima.
- Il problema però è capire se i piani degli investitori privati verranno rispettati, per fare in modo che il pubblico intervenga realmente dove manca il servizio.
- Il governo ha chiesto ai fornitori di rete fisso-wireless tutti gli indirizzi realmente serviti e ha scoperto che sono molti meno di quelli coperti sulla carta. E ora pensa di imporre la rendicontazione ogni sei mesi da parte degli operatori.
A settembre entra nel vivo il piano con cui il governo intende coprire con una velocità internet a «prova di futuro», almeno un gigabit, tutti gli italiani, entro il 2026 con circa 3,8 miliardi di euro in fondi pubblici. Un nuovo piano che adotta soluzioni e approcci innovativi – mai adottati prima in Europa – per evitare un grosso problema già sperimentato negli anni scorsi: la differenza tra la teoria e la pratica. Già il precedente piano “banda ultra larga” garantiva 100 megabit a tutti entro il 2020.
Obiettivo fallito, e di molto, come riconosciuto dallo scorso governo. Secondo i dati dell’autorità garante delle comunicazioni (Agcom), al 2020 solo un terzo delle famiglie era coperta.
La causa principale dei ritardi si ritrova nel fatto che gli operatori non hanno mantenuto le promesse fatte allo stato sulle coperture; e sono andati a rilento anche i cantieri aperti con i fondi pubblici del piano banda ultra larga.
La consultazione pubblica
Nel frattempo, anche per via della digitalizzazione indotta dal Covid, i 100 megabit sono risultati inadeguati al futuro; di qui il nuovo obiettivo: almeno un gigabit in download; e 200 megabit in upload.
Con questo piano e gli analoghi precedenti, s’intende che la copertura garantita sarà con tecnologie di tipo fisso: il mobile, anche 5G, ha caratteristiche e usi diversi.
Il piano «Italia a un giga» del governo è stato messo in consultazione pubblica ad agosto e lo sarà fino al 15 settembre. Il testo della consultazione è uno spaccato interessante su come il governo intenda affrontare il problema della copertura.
I fondi pubblici serviranno a realizzare reti gigabit laddove al 2026 – secondo i piani di investimento già dichiarati dagli operatori – non ci sarà una rete in grado di fornire in maniera affidabile velocità di connessione in download pari o superiori a 300 megabit.
Le regole europee
Come spiega Maurizio Dècina, professore emerito del Politecnico di Milano e consigliere del ministro all’innovazione Vittorio Colao sul piano di intervento, «le regole europee richiedono che si possano fare interventi con fondi pubblici allo scopo di aumentare la velocità delle rete di almeno il doppio rispetto a quanto già disponibile nelle zone oggetto dell’aiuto».
«La soglia di 300 megabit/s viene triplicata verso 1 gigabit/s come obiettivo delle reti ultraveloci Vhcn per comunicazioni fisse da realizzare in Italia entro la fine del 2026».
Nuovi criteri
Il piano del governo ha alcuni aspetti innovativi, spiega Dècina, «per la prima volta in Europa, come richiesto dal Berec (l’organismo europeo delle authority delle telecomunicazioni), gli operatori dovranno garantire la possibilità per tutti gli utenti di raggiungere la velocità di un gigabit per secondo, anche nei momenti di picco».
Non basta insomma assicurare una velocità teorica “massima”, com’è stato finora, anche con le attuali offerte commerciali.
Altro aspetto nuovo: per la prima volta, il governo chiede agli operatori di identificare gli indirizzi civici in effetti “serviti” dalle loro reti oggi o nei prossimi cinque anni, in questo modo quelli non serviti saranno oggetto del piano con fondi pubblici.
Il tema si pone in particolare con le tecnologie fisso-wireless, dove – come ha appurato l’analisi del governo – c’è una grossa differenza tra la copertura teorica e l’effettiva possibilità di dare il servizio.
Il governo nei giorni scorsi ha scoperto dagli operatori telefonici che offrono fisso-wireless – tra gli altri Tim, Fastweb, Vodafone, Eolo e Linkem –, che solo una piccola percentuale dei 560 mila indirizzi civici coperti sulla carta sarà concretamente servibile entro il 2026.
Le cause sono sostanzialmente due. Alcuni di questi non hanno visibilità con un’antenna dell’operatore, ad esempio per la presenza di un palazzo alto.
Inoltre, il modello di business degli operatori fisso-wireless è tale per cui solo una piccola quota di utenti coperti può in effetti ottenere la velocità pubblicizzata.
In teoria gli operatori possono mettere altre antenne per servire ulteriori utenti, ma il governo – si legge nella consultazione – dovrà verificare nelle prossime settimane quanto sia fattibile economicamente questa operazione.
Un altro nodo, al momento senza soluzione concreta, è come assicurarsi che gli operatori mantengano – almeno stavolta – i propri impegni di copertura al 2026.
Ogni sei mesi
Il governo pensava di imporre sanzioni a chi mancava la promessa, ma il relativo decreto non è ancora arrivato, a quanto risulta perché manca un supporto nella normativa europea.
La soluzione trovata per ora è che gli operatori dovranno rendicontare le coperture ogni sei mesi almeno, così il governo potrà estendere con relativa tempestività il piano pubblico agli indirizzi civici degli impegni mancati.
C’è poi chi, come Francesco Vatalaro, professore a Roma Tor Vergata, ritiene «impossibile raggiungere con la fibra ottica i 6,2 milioni di indirizzi civici oggetto del piano; mentre il fisso-wireless è inadeguato per i motivi descritti nella stessa consultazione», dice.
Le aree grigie
La situazione è complicata dalle «aree grigie», zone dove ci sono reti banda ultra larga ma non della velocità «a prova di futuro»: «Il problema è che gli indirizzi civici “grigi” sono contigui a zone ben servite e frammentati», spiega Innocenzo Genna, consulente tlc a Bruxelles.
«Ad esempio la via principale di una città è servita dagli operatori mentre una traversa no. La sfida sarà fare un intervento pubblico chirurgico che eviti davvero le zone coperte da investimenti privati», aggiunge. «L’Europa – che deve approvare il piano dell’Italia – non lo permetterebbe», continua.
Su tutto regna la perenne alea del progetto rete unica Tim-Open Fiber, che il nuovo governo ha voluto togliere dalle ipotesi in campo.
A maggior ragione – come riflettono gli analisti di Equita Sim – dopo che, qualche giorno fa, l’antitrust europeo ha aperto un faro sulla cessione di quote di Open Fiber da Enel a Cassa depositi e prestiti, fulcro statale del progetto rete unica.
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