Il ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti, lancia l’allarme sull’andamento dell’economia per i prossimi mesi su cui incombe l’aumento dell’instabilità globale dovuta al conflitto in Medio Oriente. Ma l’incognita più grande riguarda il debito pubblico, che nei prossimi tre anni non calerà
Crescita in calo a livello globale, tensioni sui prezzi delle materie prime, tassi e spread in rialzo: il cammino della crescita economica (debole) disegnato dalla Nadef appena approvata dal governo è lastricato di rischi, ma le nubi all’orizzonte appaiono ancora più minacciose da sabato scorso, dopo l’attacco di Hamas a Israele.
E il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che in audizione in Parlamento ha illustrato lo scenario macroeconomico, non ha potuto fare a meno di ammettere che il tasso di incertezza già molto elevato non può che aumentare ancora per effetto “dei recenti eventi che hanno caratterizzato l’area mediorientale”.
Questo significa che gli obiettivi di aumento del Pil fissato dall’esecutivo allo 0,8 per cento quest’anno e all’1 per cento nel 2024, traguardi già ridimensionati rispetto alle previsioni del Def di primavera, potrebbero rivelarsi addirittura fin troppo ambiziosi.
Non sembra casuale, allora, che mentre il governo prende atto del peggioramento delle prospettive economiche globali e nazionali, crescano di intensità le indiscrezioni che danno come possibile una revisione al ribasso dell’extradeficit di 23,5 miliardi previsto dalla Nadef per il periodo 2023-25.
Questa spesa supplementare va autorizzata dal parlamento e mercoledì è atteso il primo voto sui numeri della finanza pubblica elaborati dai tecnici del Mef e approvati dal Consiglio dei ministri lo scorso 27 settembre. In pratica, non é da escludere che Giorgetti alla fine scelga la via della prudenza rassegnandosi a contenere il disavanzo in vista di una fase ancora più difficile del previsto per l’economia, segnata da un’ulteriore frenata della crescita e possibili nuove spinte al rialzo per inflazione e tassi.
Previsioni negative
La prudenza è d’obbligo, a maggior ragione dopo che dall’Istat sono arrivate le temute conferme su una più che probabile evoluzione negativa della congiuntura. I sondaggi su famiglie e imprese realizzati dall’Istituto confermano che “la fase di debolezza dell’economia italiana potrebbe proseguire nei prossimi mesi”.
Anche il Fondo monetario internazionale ieri ha rivisto le previsioni di crescita dell’Italia allo 0,7 per cento sia per il 2023 e per il 2024, mentre a luglio aveva indicato l’1,1 per quest’anno e lo 0,9 per cento per il prossimo. Le stime del Fmi mettono l’Italia alle spalle di Francia (più 1,3 per cento), Germania (più 0,9 per cento) e della media dell’Eurozona (più 1,2 per cento) come incremento del Pil nel 2024.
L’incognita più grande resta però quella del debito, che nel percorso disegnato dal governo dovrebbe stabilizzarsi intorno al 140 per cento in rapporto al Pil fino al 2026, di fatto interrompendo una parabola discendente iniziata nel 2021.
Anche queste previsioni non proprio ottimistiche restano però appese a eventi più che mai incerti. Per esempio, come ha sottolineato l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) nella sua audizione in Parlamento, la tenuta del debito è legata all’incasso di proventi di privatizzazioni pari ad almeno l’1 per cento del Pil (circa 20 miliardi) nel triennio 2024-26.
Incassi – sottolinea l’Upb – su cui vi è incertezza “se si osservano i dati sulle privatizzazioni degli anni precedenti la crisi pandemica”. Ancora più incisiva la critica della Corte dei conti che dopo aver osservato che “negli ultimi lustri si è assistito a repentini cambiamenti per quel che riguarda i proventi da privatizzazioni” chiede – come si legge nel testo dell’audizione parlamentare – “elementi più puntuali e circostanziati” sulla nuova strategia. Giorgetti in audizione si è limitato a precisare che “ci sono concessioni importanti che giungono a scadenza e potranno dare entrate importanti”, senza fornire elementi ulteriori.
Rischio tassi
Resta elevato anche il rischio di nuovi rialzi dei tassi che avrebbero come conseguenza immediata una crescita della spesa per interessi a carico del bilancio pubblico. La Banca d’Italia, nell’audizione di lunedì sulla Nadef, ha segnalato che “nel caso di un aumento del differenziale dei rendimenti (cioè lo spread, ndr) tra i titoli di stato italiani e tedeschi di 100 punti base, l’incidenza del debito tornerebbe a crescere già nel 2024”.
Parole che confermano quanto l’equilibrio dei conti pubblici sia legato al giudizio dei mercati finanziari sulla credibilità del percorso di risanamento impostato dal governo.
La montagna da scalare è diventata più alta per effetto degli oneri del Superbonus, che valgono almeno 20 miliardi di maggior debito per ciascuno dei prossimi due anni. Così, per evitare il peggio, il governo ha scelto la strada dei tagli e dei rinvii di spesa per alcune delle voci più rilevanti del bilancio pubblico.
Tagli alla sanità
È stata colpita soprattutto la sanità, che in base alla Nadef vede addirittura diminuire la spesa in percentuale sul Pil. Si passa dal 6,6 per cento del 2023 al 6,1 per cento stimato per il 2026. Una stretta che minaccia di aggravare una situazione già drammatica. Lo ricorda la Corte dei conti definisce “stringente il quadro che emerge sul fronte della spesa sanitaria”, perché i margini di manovra sono “limitati”.
Tocca al governo, con la prossima legge di bilancio, entrare nel merito delle misure concrete per gestire una situazione sempre più allarmante. Le premesse non sono incoraggianti, se è vero, come sottolinea ancora la Corte, che le misure adottate negli anni scorsi per “razionalizzare” la sanità hanno avuto “effetti non sempre percepibili in termini di risultati”.
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