- Se Autostrade per l’Italia è responsabile del crollo del ponte Morandi, lo Stato deve sanzionarla. Ma una trattativa per stabilire consensualmente la sanzione non poteva che essere un remake di Bertoldo che non trova l’albero a cui farsi impiccare
- Pochi giorni dopo il crollo, Mediobanca manda il primo avvertimento: se il governo revoca la concessione ad Aspi dovrà riconoscerle 11 miliardi di indennizzo per la perdita di profitti futuri. Il governo così realizza la propria impotenza e mette in scena una commedia degli annunci
- Nel contratto c’è una clausola illegittima secondo la quale Aspi avrà comunque diritto al maxi indennizzo, quale sia la ragione della revoca. Ma alla base c’è una legge approvata dal Parlamento e nessun giudice può dichiarare illegittima una legge
Era chiaro dal primo giorno che il premier Giuseppe Conte con i Benetton si sarebbe messo nei guai. Nessuno nel governo aveva un'idea di che cosa fare con la concessione di Autostrade per l'Italia (Aspi). Se Aspi è responsabile del crollo del ponte Morandi e della morte di 43 persone, lo Stato deve sanzionarla. Ma un tavolo di trattativa per stabilire consensualmente la sanzione non poteva che essere un remake di Bertoldo che non trovava l'albero a cui farsi impiccare: infatti dopo tre mesi di chiacchiere a vuoto, si è rotto il dialogo tra la Cassa depositi e prestiti (delegata a rappresentare lo Stato) e Atlantia, la holding controllata dai Benetton a cui fa capo Aspi. Dicono i servitori dello Stato (e di qualcun’ altro) che Gianni Mion e Carlo Bertazzo, plenipotenziari di Atlantia, hanno giocato sporco. Come se si aspettassero leale collaborazione dall'imputato a cui il giudice concede di restare libero fino a quando non avranno trovato un accordo sugli anni di carcere da scontare.
La tragedia del Morandi è andata proprio così. Il 17 agosto 2018, a soli tre giorni dal crollo, circa 770 giorni fa, Conte dice: «Oggi il governo ha formalmente inoltrato a Autostrade per l'Italia la lettera di contestazione che avvia la procedura di caducazione della concessione». Il 21 agosto Mediobanca - che oggi tratta con il governo per conto di Atlantia - manda il primo avvertimento: se il governo revoca la concessione ad Aspi come sanzione per aver causato la morte di 43 persone, dovrà riconoscerle 11 miliardi di indennizzo per la perdita dei profitti futuri. Già una settimana dopo il crollo del Morandi il governo realizza dunque la propria impotenza e mette in scena una commedia degli annunci che, adesso è chiaro a tutti, non avrebbe portato a niente.
La clausola illegittima sulla revoca
Il punto è la nuova convenzione che dal 2008 regola la concessione dei tremila chilometri di asfalto di Aspi. C'è una clausola illegittima secondo la quale Aspi avrà comunque diritto al maxi indennizzo, quale che sia la ragione della revoca, anche, per esempio, aver causato la morte di 43 persone. La convenzione è un contratto che il governo avrebbe potuto impugnare davanti a un giudice per farsi annullare la clausola capestro. Ma proprio quella convenzione è un Minotauro, corpo di contratto e testa di legge approvata dal Parlamento - governo Berlusconi, con in maggioranza la Lega, partito sempre attento, anche se non da solo, agli interessi autostradali. Così nessun giudice può dichiarare illegittima una legge e la concessione minotauro rende intoccabili i privilegi dei Benetton. Ci sarebbe stata una sola alternativa, fare in modo che la Corte costituzionale intervenisse sul mostro giuridico e annullasse la legge, e consentendo al giudice civile di sanare le illegittimità del contratto sottostante e al governo di revocare la concessione senza penali.
Uno schiaffo da 850 milioni di euro
Questa strada è stata attentamente evitata. Si è preferito credersi più furbi dei Benetton seguendo la strada della transazione e pensando che bastasse continuare a minacciare la revoca della concessione per spaventare i più scafati avvocati d'affari del mondo al servizio di Atlantia. Mentre gli araldi dei Benetton si fingevano adeguatamente impauriti, il governo ha alternato per due anni piazzate su Facebook e richieste di pareri giuridici, fino al capolavoro della notte del 14 luglio scorso. Si è scelta definitivamente la strada della trattativa, non preoccupandosi che il governo sarebbe finito nella sua trappola studiata per Atlantia ma solo di annunciare il trionfo dei buoni sui cattivi, dello Stato che sderenava i Benetton. Anche quella notte Conte si affida a Facebook: «È stata scritta una pagina inedita della nostra storia. L'interesse pubblico ha avuto il sopravvento rispetto a un grumo ben consolidato di interessi privati». Alessandro Di Battista, il più descamisado dei Cinque stelle, esulta in diretta Facebook: «Io non ricordo, nel paese dove tutti gli scandali finiscono a tarallucci e vino, una famiglia di potenti presa a schiaffi come la famiglia Benetton ieri notte».
Insieme a Dibba, anche i Benetton festeggiavano gli schiaffoni più belli presi in vita loro mentre il titolo Atlantia cresceva in Borsa del 26,6 per cento in una sola giornata facendo guadagnare alla famiglia dei maglioncini colorati 850 milioni in poche ore. I cinici mercati finanziari avevano già capito tutto.
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