I dati Istat: nel 2022 ci sono quasi 400 mila poveri in più per colpa dell’inflazione. A pagare di più il prezzo del carovita sono infatti le famiglie meno abbienti, che hanno peggiorato la propria condizione. Le persone più esposte alla povertà sono giovani e stranieri
I nuovi dati Istat mostrano che sia la quota che il numero assoluto di famiglie e individui in povertà è aumentato nel 2022, soprattutto a causa della crescita dei prezzi (+8,4 per cento nel corso dell’anno). Gli individui poveri salgono a 5,7 milioni, contro i 5,3 del 2021, mentre le famiglie in queste condizioni diventano 2,2 milioni (quasi 200 mila in più rispetto al 2021).
La povertà assoluta indica uno stato di grave deprivazione materiale e viene calcolata in base alla capacità di famiglie e individui di acquistare un insieme di beni e servizi considerati essenziali. Non è quindi una soglia relativa (per esempio, si viene considerati poveri se si guadagna meno di una certa percentuale del reddito medio o mediano), ma si calcola sull’effettivo potere d’acquisto delle persone. Nonostante il forte aumento dei consumi delle famiglie nel 2022, anche tra i più poveri, l’inflazione non ha risparmiato chi si trovava in difficoltà, riducendo di fatto il potere d’acquisto. Secondo Istat, il reddito disponibile reale (ossia al netto dell’inflazione) delle famiglie in povertà assoluta è calato del 2,5 per cento nel 2022.
L’aumento delle persone povere è preoccupante, ma non stupisce. Nonostante le misure di sostegno straordinarie per contrastare l’inflazione (che secondo Istat hanno ridotto l’incidenza della povertà di 0,7 punti percentuali), era prevedibile che il prezzo dell’inflazione sarebbe stato pagato soprattutto da chi era già in difficoltà. L’inflazione colpisce infatti di più le famiglie più povere, che consumano proporzionalmente una quota maggiore di beni più esposti all’aumento dei prezzi, come l’energia e i beni alimentari. Le famiglie più abbienti, invece, pur registrando una spesa più alta in generale, dedicano una parte inferiore del proprio reddito ai beni di prima necessità, mentre spendono di più in settori meno esposti all'inflazione, come i servizi ricreativi. Se quindi, a causa dell’inflazione, mantenere lo stesso stile di vita costava alla famiglia media l’8,4 per cento in più (il tasso di inflazione registrato nel 2022), per il 20 per cento più povero della popolazione il costo della vita è aumentato del 12,4 per cento, proprio perché una quota molto più alta di reddito era dedicata a pagare le bollette e gli alimenti.
La povertà tra gli stranieri
Una quota consistente di poveri è fatta di stranieri: l’incidenza della povertà assoluta tra i residenti senza cittadinanza italiana è del 28,3 per cento. Più di una famiglia su quattro con stranieri vive in questa condizione, contro poco più di 1 su 15 tra le famiglie di soli italiani. Se non si ha la cittadinanza italiana, la probabilità di far parte di una famiglia povera è oltre 4 volte superiore rispetto a chi è cittadino.
Non è così strano che le difficoltà economiche siano più diffuse tra gli immigrati rispetto ai nativi, ma questa differenza è particolarmente alta in Italia ed è rappresentativa delle difficoltà di integrazione degli stranieri all’interno del nostro tessuto produttivo. Non solo non è facile riuscire a integrarsi, è anche il sistema produttivo che non riesce ad attirare lavoratori altamente qualificati: il 28 per cento degli stranieri lavora in occupazioni che richiedono competenze elementari, contro il 18 per cento della media Ue e della Germania, mentre solo il 5 per cento lavora come professionista (18 per cento in Ue e Germania).
La cattiva condizione degli stranieri, quindi, dipende sia da una naturale differenza tra migranti e nativi, che dovrebbe assottigliarsi nel corso del tempo, sia da un’autoselezione al ribasso dei migranti stessi: dal momento che non vengono forniti incentivi per rimanere nel nostro Paese a chi potenzialmente potrebbe contribuire in maniera incisiva alla società, gli immigrati “migliori” si spostano in altri Paesi europei, mentre difficilmente gli europei o altri occidentali (i cosiddetti expats) si trasferiscono nel nostro Paese.
La povertà tra gli anziani è quasi scomparsa, mentre colpisce soprattutto i giovani
I dati per il 2022 confermano quella che è ormai una tendenza da anni: tra gli over-65, la povertà colpisce il 6,3 per cento degli individui, mentre cresce al diminuire dell’età. Oggi a soffrire grave deprivazione economica sono soprattutto i minori, con un’incidenza della povertà assoluta doppia rispetto agli over-65 (13,4 per cento). Vive in questa condizione poco più di un under-35 su dieci.
Parte di questa differenza è sicuramente spiegata dalla diversa presenza di stranieri nelle varie classi di età (è molto facile trovare famiglie straniere con molti figli, mentre è difficile imbattersi in pensionati senza cittadinanza italiana), ma non si può negare l’evidenza: essere giovani in Italia è uno svantaggio. Le retribuzioni sono più basse, anche quando ci si avvicina al periodo di massima produttività potenziale, le probabilità di avere un contratto precario è più alta e le tutele in generale languono rispetto ai livelli del passato.
La creazione di un mercato del lavoro duale, diviso tra chi ha subito e chi no la maggiore flessibilità sul mercato del lavoro, ha inasprito le disuguaglianze generazionali e portato a quello che è un po’ un controsenso: oggi rischia di più di trovarsi in povertà chi può lavorare rispetto a chi non è più in grado di farlo.
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