- La differenzia tra gli stipendi degli under-35 rispetto agli over-55 è aumentata di 19 punti percentuali in 35 anni
- Alla radice di questo aumento di disuguaglianza c’è la quasi totale mancanza di un ricambio generazionale
- Per ridurre il gap occorre adottare soluzioni radicali, a partire dalla revisione dei contratti collettivi
I salari in Italia non crescono da decenni e risultano decisamente troppo bassi per gli standard di un grande paese europeo. I motivi sono molti, dalla scarsa competitività del lavoratore medio italiano alla produttività sostanzialmente ferma negli ultimi 30 anni.
Eppure, i contratti collettivi nazionali sono stati rinnovati e hanno previsto di volta in volta nuovi aumenti, oltre a una crescita dello stipendio in base all’anzianità di servizio. Com’è possibile che i salari siano rimasti fermi al palo? Semplice, non è così: il dato medio è rimasto invariato o quasi, ma ci sono fortissime differenze in base all’età.
Per i lavoratori più anziani gli stipendi hanno continuato a crescere, mentre gli under-35 si sono impoveriti. Lo si vede dai dati sulla distribuzione dei lavoratori in ventili di reddito. I due grafici mostrano la variazione della percentuale di lavoratori che si trovano in ciascun ventile di reddito (ossia un ventesimo della popolazione totale, il 5 per cento).
Il ventile da 0 a 5 rappresenta il 5 per cento che guadagna meno, mentre quello da 95 a 100 mostra il 5 per cento che guadagna di più. I dati mostrano come la percentuale di under 35 nelle fasce di reddito più basse (a sinistra) sia aumentata tra il 1985 e il 2019, mentre quella nelle fasce più ricche (a destra) sia diminuita. L’opposto è avvenuto per gli over 55.
È quello che raccontano i risultati preliminari di una ricerca di Nicola Bianchi (Northwestern University) e Matteo Paradisi (Einaudi Institute for Economics and Finance) sull’aumento del gap salariale tra lavoratori giovani e anziani. In particolare, la ricerca stima che nel 1985 la differenza media di salario tra under 35 e over 55 era pari al 19 per cento, mentre nel 2019 aveva raggiunto il 37 per cento.
L’aumento del gap non riguarda solo la media, ma tutti i livelli di reddito: il divario retributivo tra giovani e anziani è aumentato di 20 punti percentuali per il 10 per cento più povero dei lavoratori, di 25 per il 25 per cento più ricco e di 18 per il 10 per cento più ricco.
Le ragioni dell’aumento del divario
La sempre maggiore distanza nelle retribuzioni tra giovani e anziani ha due principali ragioni: contratti con crescita retributiva basata quasi esclusivamente sull’anzianità e scarsa cultura aziendale. Sulla prima non c’è molto da dire: la maggior parte dei lavoratori in Italia può sperare in un aumento solo rimanendo nello stesso posto di lavoro il più a lungo possibile, in modo da raggiungere gli “scatti”. Per quanto riguarda la cultura aziendale, la ricerca di Bianchi e Paradisi mostra come il nostro paese sia sempre più gerontocratico.
Nel 2001, la percentuale di manager under 35 e over 55 era la stessa: 9 per cento circa. La situazione è cambiata drasticamente negli ultimi 15 anni. Oggi i manager over 55 sono circa un terzo del totale, mentre la quota di under 35 è scesa sotto il 5 per cento.
L’aumento degli over 55 tra i manager è sicuramente il risultato di un generale invecchiamento della forza lavoro (l’età media è aumentata da 36 anni nel 1985 a 43 nel 2019), ma è anche indicativa della totale assenza di un ricambio generazionale. Il mondo diventa sempre più innovativo, cambia di continuo e la frontiera delle competenze e della tecnologia si sposta in avanti sempre più rapidamente; la risposta delle imprese italiane? Non fare nulla.
L’immobilismo è dovuto sia a una generale avversione all’innovazione, sia alla difficoltà per le imprese di creare nuove posizioni dirigenziali. La maggior parte delle imprese italiane, infatti, ha un’età superiore a dieci anni e si trova in uno stadio avanzato della propria vita aziendale, quando i reparti e le posizioni manageriali iniziano a cristallizzarsi.
Una possibile soluzione al problema è incentivare l’aumento della dimensione aziendale (la percentuale di piccole imprese in Italia è tra le più alte nei Paesi avanzati), ma anche favorire maggiore mobilità per i lavoratori. È importante garantire stabilità ai lavoratori, ma questo dovrebbe avvenire perché il mercato del lavoro è dinamico ed è possibile trovare facilmente un nuovo impiego con stipendio pari o superiore, non perché il contratto a tempo indeterminato blinda completamente il lavoratore nell’impresa.
Questa “isola felice” nel “mare” di un mercato del lavoro a bassa mobilità comporta un ulteriore rallentamento della crescita dei salari per mancanza di concorrenza e favorisce ancora di più la cristallizzazione delle posizioni.
Per tornare a ridurre il gap occorrono soluzioni radicali. Dall’incentivo a una maggiore mobilità sul mercato del lavoro (con un’adeguata rete di protezione e di riqualificazione per gli occupati che perdono il posto), fino al ripensamento dei contratti collettivi, con una maggiore attenzione alla prestazione individuale e un minore peso all’anzianità di servizio. Una cosa è certa: dopo la pubblicazione di questi dati, non si potrà più dire che il gap salariale tra giovani e anziani sia “normale”.
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