Decisa l’amministrazione straordinaria per il gruppo siderurgico di Taranto in crisi profonda. Il socio privato ha tentato fino all’ultimo di opporsi al provvedimento. Ma ha perso la battaglia
Alla fine il governo ha preferito non aspettare oltre. Dopo settimane di scontri verbali con il socio privato Mittal, l’esecutivo ha infine deciso di procedere con l’amministrazione straordinaria per Acciaierie d’Italia. «A giorni saranno nominati il commissari», ha detto il ministro del Made in Italy Adolfo Urso, che insieme a una rappresentanza del governo ha incontrato i sindacati.
Era di domenica sera la notizia della richiesta di Invitalia al governo di procedere con l’amministrazione straordinaria dell’ex Ilva. Una mossa che aveva scatenato la reazione del gruppo Mittal, che non sembra ancora intenzionata a gettare le spugna e potrebbe dare il via un lungo contenzioso legale.
Ormai però non c’era più tempo. Le condizioni dello stabilimento di Taranto sono in continuo peggioramento, con i livelli produttivi che si stanno abbassando a un livello ancora inferiore a quello già minimo dei mesi scorsi.
Botta e risposta
Come detto, nella serata di domenica, Invitalia aveva inoltrato al ministero delle Imprese e del Made in Italy una lettera in cui ha presentato un’istanza “per le conseguenti valutazioni tecniche e amministrative per la procedura di commissariamento di Acciaierie d’Italia Spa”. Di fatto, aveva richiesto al governo di procedere con l’attivazione dell’amministrazione straordinaria. “Abbiamo preso atto dell’indisponibilità del socio privato a contribuire a garantire la continuità aziendale o a sciogliere la joint-venture in modo equilibrato”, sostengono fonti di Invitalia.
I vertici di Mittal avevano risposto con un’altra lettera nella giornata di ieri, in cui si dicono “sorpresi e delusi” dall’istanza presentata dal socio pubblico, contestando a Invitalia di non aver condiviso questa intenzione durante l’ultima riunione tra i due soci, domenica mattina. La multinazionale definisce la decisione di Invitalia come “una grave violazione dell’accordo di investimento”, affermando di aver lavorato “pienamente e in buona fede” nelle ultime settimane con l’obiettivo di raggiungere un accordo equo “per fornire sostegno ad Acciaierie d’Italia o per la nostra uscita ordinata”.
Nel testo della missiva non mancavano gli attacchi diretti al governo italiano, accusato di scaricare tutte le responsabilità sul socio e così facendo assolvendosi “per il fallimento del partenariato pubblico-privato”, riservandosi poi il diritto di agire nelle sedi opportune. Proprio questo è il cuore della strategia di ArcelorMittal: far valere le proprie pretese in ogni sede per guadagnare più tempo possibile, bloccando il commissariamento, nel tentativo di ritardare l’estromissione dall’ex Ilva di cui esprime l’ad, Lucia Morselli.
Sempre domenica sera infatti, in concomitanza con la lettera di Invitalia al governo, Acciaierie d’Italia ha reso noto di aver depositato una domanda di concordato con riserva per tutte le aziende del gruppo: un disperato tentativo di trattare con i creditori per evitare l’amministrazione straordinaria. Il deposito è avvenuto in via telematica nella notte di venerdì scorso, quando la spallata di Invitalia era già nell’aria, dopo più di un mese di tentennamenti e trattative andate a vuoto.
La versione di Morselli
Nei giorni scorsi l’Ad Morselli ha anche ingaggiato una lotta personale con i sindacati, arrivando a querelare il segretario generale della Uil metalmeccanici Rocco Palombella, che in un’intervista concessa venerdì a Repubblica aveva definito «insensata» la trattativa con Mittal, spingendo per il controllo pubblico, e affermando che Lucia Morselli «in Parlamento aveva detto solo bugie», riferendosi all’audizione in Senato dell’Ad di Acciaierie d’Italia, avvenuta martedì 13 febbraio.
In quella sede, Morselli aveva rivendicato lo stato di buona salute dell’acciaieria di Taranto e degli altri impianti: «Il gruppo è vivo, ancora produce, ha gli impianti in efficienza e paga gli stipendi. L'anno scorso la produzione si è fermata a tre milioni di tonnellate», aveva dichiarato, sostenendo che i problemi dell’azienda fossero la mancanza di liquidità e «l’eccesso di personale».
Secondo l’Ad quindi il risanamento dell’ex Ilva passerebbe per un ulteriore finanziamento statale unito al licenziamento di buona parte dei diecimila dipendenti attuali, che salgono a ventimila aggiungendo anche i lavoratori dell’indotto.
Le affermazioni della manager hanno provocato la dura reazione di sindacati e lavoratori, che ieri, ricevuti dal governo nella Sala monumentale della presidenza del Consiglio e hanno ribadito la loro posizione: solo l’intervento pubblico, con l’estromissione dei Mittal, può salvare l’ex Ilva. È stata quindi confermata la richiesta all’esecutivo di non perdere altro tempo in inutili trattative, paventando il rischio di una chiusura definitiva degli impianti.
Ma la lettera incendiaria di ieri, che fa seguito al deposito del concordato di venerdì, è solo l’ultima delle iniziative portate avanti dalla multinazionale franco-indiana per bloccare l’avvio dell’amministrazione straordinaria. La scorsa settimana infatti il Tribunale di Milano ha respinto la richiesta di misure protettive e cautelari sugli impianti, bloccando in questo modo le pretese avanzate dai creditori e la vendita - parziale o totale - degli stabilimenti da parte del socio pubblico.
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