L’aumento del fabbisogno dovuto anche agli oneri del Superbonus complica il percorso di risanamento concordato con la Ue. Lo spread cresce ancora, mentre la Nadef conferma le previsioni negative sul deficit e la frenata della crescita del Pil anche nel 2024
C’è un numero che descrive alla perfezione la china pericolosa su cui si stanno avviando i conti pubblici dell’Italia. E non è un numero contenuto nella Nadef, la Nota di aggiornamento al Def appena esaminata dal Consiglio dei ministri. Una Nadef che disegna un quadro della finanza pubblica in netto peggioramento rispetto alle previsioni della scorsa primavera, con il motore dell’economia che batte in testa, visto che nelle previsioni del governo la crescita del Pil nel 2023 non andrà oltre lo 0,8 per cento, per aumentare intorno all’1,2 per cento l’anno prossimo, mentre il deficit nel 2024 arriverà al 4,3 per cento, in netto aumento dal 3,7 per cento stimato nel Def. Ecco perché una manovra per il 2024 che già si annunciava striminzita, concentrerà le poche risorse a disposizione, non più di 25 miliardi, sul taglio del cuneo fiscale, con conseguente rimodulazione delle aliquote Irpef e aiuti alle famiglie.
Ma il dato forse più preoccupante di tutti, quello non compare nelle tabelle della Nadef, riguarda il tasso d’interesse dei Bot semestrali assegnati ieri in asta dal Tesoro. Chi ha sottoscritto quei titoli si è assicurato un rendimento del 3,99 per cento, il più elevato dai tempi della crisi del debito del 2011.
A luglio, un Bot con durata analoga rendeva il 3,81 e un anno fa, a settembre del 2022, il tasso era inferiore al 2 per cento, l’1,97 per cento, per la precisione. Una crescita velocissima, che pesa per intero sulle casse dello Stato. E in prospettiva la situazione sembra destinata a peggiorare, perché nei prossimi mesi le banche centrali, a cominciare dalla Bce, non taglieranno i tassi e Roma, d’altra parte, sarà costretta ad aumentare il ritmo dei collocamenti per far fronte a un debito che continua a crescere.
Nubi nere
Nella Nadef approvata dal Consiglio dei ministri il rapporto tra debito e Pil cala solo un decimo di punto percentuale tra il 2023 e il 2024: da 140,2 a 140,1 per cento. Poca cosa davvero, che mette a dura prova la credibilità del governo a Bruxelles così come nei confronti dei mercati finanziari. Il fatto è che le nubi nere che già in primavera si profilavano in lontananza, in questi mesi hanno finito per oscurare del tutto l’orizzonte. Il costo della vita non è diminuito quanto ci si attendeva, i tassi di mercato hanno continuato a salire e infine anche la crescita economica si è fermata.
A tutto questo si è aggiunta la grana made in Italy delle agevolazioni edilizie, dal Superbonus al bonus facciate, che si sono rivelate una zavorra di gran lunga più pesante di quanto ci si attendesse. La recente decisione di Eurostat, l’ufficio statistico di Bruxelles, ha confermato che tutti i costi si scaricano sul deficit dell’anno in cui i bonus sono stati accordati, anche se vengono materialmente incassati dai beneficiari negli anni successivi. E infatti la Nadef ha portato al 5,3 per cento, dal 4,5 previsto in primavera, il deficit del 2023.
Per quanto riguarda il debito però nulla cambia. Questo significa che la montagna da oltre 100 miliardi di crediti garantiti dallo Stato provocherà nei prossimi anni un netto aumento del fabbisogno e di conseguenza anche del debito, che dovrà essere coperto con il collocamento di un maggior numero di titoli pubblici.
Il monito di Bruxelles
I dati più aggiornati della Banca d’Italia segnalano che a luglio l’indebitamento complessivo della Pubblica amministrazione continua ad aumentare e ha raggiunto la cifra record di 2.858 miliardi, 10 miliardi in più rispetto al mese precedente. Questo numero si confronta con un Pil che, come confermato nella Nadef, cresce invece più lentamente del previsto. Ecco perché il governo farà sempre più fatica a mantenere gli impegni presi in sede europea.
Proprio poche ore fa, la Commissione di Bruxelles ha ribadito che è “fondamentale che i rapporti debito/Pil degli Stati siano portati su un percorso discendente sostenibile attraverso piani fiscali strutturali fattibili e credibili”. Il monito arriva proprio mentre sta per entrare nel vivo il negoziato tra i Paesi membri a proposito del nuovo Patto di Stabilità. A metà ottobre il governo di Roma dovrà presentare alla Commissione il Documento programmatico di bilancio che proprio a partire dai dati contenuti nella Nadef riassumerà le linee generali della prossima manovra di bilancio, da discutere in Parlamento a partire dal successivo 20 ottobre.
Sulla base dell’andamento dei conti pubblici l’Italia dovrà chiedere a Bruxelles maggiore flessibilità rispetto agli impegni presi in primavera e in prospettiva si complica anche la trattiva sul Patto di stabilità, che vedrà il governo impegnato a ottenere regole meno rigide sulla riduzione di debito e deficit.
I mercati finanziari, quelli che il ministro Giorgetti dice di “temere più di Bruxelles”, sembrano piuttosto scettici sulle possibilità dell’Italia di spuntare concessioni significative. Una sensazione confermata anche dall’andamento dello spread che si è allargato di 30 punti negli ultimi tre mesi e mentre il governo si preparava a esaminare la Nadef ha toccato i 195 punti, vicinissimo ai massimi dell’anno, che risalgono a gennaio.
Un segnale non proprio incoraggiante per un governo che deve assolutamente mettere un freno all’aumento del debito.
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