A Milano siamo ormai alle battute finali del processo per il caso OPL 245, che vede imputati Eni, Shell, diversi loro top manager, intermediari di spicco e un ex ministro del Petrolio della Nigeria per la presunta corruzione internazionale nell’acquisizione di un ricchissimo blocco petrolifero al largo delle coste nigeriane.

E' stato definito il “processo del secolo” per l'importo della presunta tangente, oltre un miliardo di dollari. La sentenza potrebbe essere emessa già mercoledì 17, oppure a durante un'ulteriore udienza prevista il prossimo 31 marzo.

1. Cosa è l’OPL245?

OPL245 è il più grande blocco petrolifero della Nigeria, situato nel Golfo di Guinea, a 150 chilometri al largo della costa. Consta di due campi petroliferi, Etan e Zabazaba, con riserve stimate e mai provate fino a 9 miliardi di barili di petrolio. Secondo Shell le riserve accertate e i gas condensati associati ammontano a meno di un miliardo di barili equivalenti, ma l’esplorazione dei due campi non è stata ancora completata.

2. Il grande garbuglio della licenza

La licenza è stata assegnata per la prima volta – senza gara – il 29 aprile 1998 dall’allora ministero del petrolio nigeriano, Dan Etete, esponente della giunta militare del colonnello Sani Abacha, alla società locale Malabu Oil and Gas, costituita 5 giorni prima dell’aggiudicazione.

Il governo nigeriano all'epoca aveva una politica per sostenere la crescita del settore petrolifero locale non lasciando tutte le operazioni solo alle grandi oil major straniere. Nella Malabu figuravano lo stesso ministro e uno dei figli del dittatore. Morto Abacha quello stesso anno, Etete cerca di coinvolgere la Shell come partner tecnico nell’operazione.

Nel 2002, alla Malabu, però, viene ritirata la licenza dal governo Obasanjo e assegnata tramite una gara alla Shell, che nel 2003 versa un bonus di firma di 210 milioni di dollari e investe alcune centinaia di milioni di dollari nell’esplorazione del blocco. OPL 245 viene visto come  strategico per spostare le operazioni fuori dal Delta del Niger segnato da conflitti sociali, rischi per la sicurezza e ricavi calanti dai pozzi in sfruttamento. Dopo numerosi cause legali intentate da Etete nelle corti nigeriane, nel 2006 il ministro della Giustizia Bayo Ojo riassegna il blocco alla Malabu.

Nel 2007 la Shell muove un arbitrato internazionale contro la Nigeria all'International Centre for Settlement of Investment Disputes, della Banca mondiale per fare pressioni con la richiesta di danni miliardari e cercare così di riottenere la licenza contesa. Sempre nel 2007, in Francia, Etete viene condannato per riciclaggio dei proventi della tangente dell’affare Bonny Island sempre in Nigeria, ma non molla e si mette alla ricerca di un nuovo compratore. Così contatta anche l’Eni.

3. Quali sono i rapporti con Eni?

FILE - In this Thursday, May 8, 2014 file photo, Former Nigerian President Goodluck Jonathan speaks during the World Economic Forum on Africa in Abuja, Nigeria. A splinter group of Nigerian oil militants accuses former President Goodluck Jonathan and other politicians in the oil-rich Niger Delta of sponsoring attacks on oil installations that have slashed the West African nation's petroleum production. (AP Photo/Sunday Alamba, File)

I rapporti con il cane a sei zampe si stringono alla fine del 2009, quando Eni comunica il suo interesse a trattare. Nel febbraio 2010 la società stringe un accordo di esclusiva e confidenzialità con il mediatore nigeriano Emeka Obi, che afferma di rappresentare la Malabu. Nel giugno 2010, non viene accettata una prima offerta per il 40 per cento della licenza.

Nel frattempo, il presidente Nigeriano Yar’Adua muore e il suo vice, Goodluck Jonathan, prende la guida del Paese. Il nuovo ministro del Petrolio, Diezani Madueke, conferma alla Malabu il controllo del 100 per cento della licenza.

A fine ottobre 2010, Eni, che si coordina con Shell, intavola una nuova offerta per l’intero blocco, che però fallisce. A quel punto nel negoziato subentra il nuovo ministro della Giustizia Adoke Bello, estromettendo i presunti intermediari che avevano agito nella trattativa diretta. Viene così elaborato uno schema tripartito con cui le società pagheranno il governo, che poi salderà la Malabu di Etete, mentre Shell ritirerà l’arbitrato internazionale.

Alla fine del 2010. il figlio di Abacha si rifà vivo e muove una causa legale contro Etete che lo aveva estromesso da tempo.

Nonostante le obiezioni mosse da alcune agenzie tecniche del governo, l’accordo viene raggiunto il 29 aprile 2011 sul prezzo di 1,3 miliardi di dollari, incluso il bonus di firma già pagato da Shell. Eni sborsa quasi un miliardo di dollari.  Shell la cifra rimanente.

4. Come è nata e si è svolta l’indagine che ha portato a processo Eni e Shell?

Subito dopo la firma dell’accordo nell’aprile 2011, il mediatore russo Ednan Agaev si rivolge a un tribunale di New York per richiedere il pagamento di 65 milioni di dollari di commissione dalla Malabu per l’intermediazione svolta. Il giudice lo rimanda alla Corte di Londra, ma la citazione viene pubblicata. Quindi anche il mediatore nigeriano Emeka Obi a Londra fa causa alla Malabu chiedendo ben 215 milioni di dollari, che un giudice congela sul conto fiduciario del governo nigeriano alla JPMorgan di Londra, dove Eni aveva versato 1,1 miliardi di dollari.

Dopo due tentativi falliti di spostare i soldi pagati per la licenza in Svizzera e poi in Libano su un conto di una società diversa dalla Malabu, ma collegata al console italiano in Nigeria Gianfranco Falcioni, alla fine 801 milioni di dollari ancora liberi sono trasferiti alla Malabu in Nigeria.

A fine del 2012, si svolge la causa tra la Energy Venture Partners  di Obi e la Malabu di Etete e i verbali del processo vengono resi noti.

Nel 2013, Re:Common e partner inglesi presentano un esposto alla Procura di Milano, alla Metropolitan police di Londra, al Dipartimento di Giustizia e alla Security and Exchange Commission negli Usa. Da questi esposti partono varie indagini. Obi vince la causa in via definitiva e sorprendentemente gli vengono assegnati 110 milioni di dollari di commissione, che sposta subito in Svizzera.

Nel 2014, la procura di Milano riesce a sequestrare la rimanenza sul conto di Londra e anche i soldi in Svizzera. Le indagini vanno avanti e l’Fbi riesce a tracciare tutti gli spostamenti di denaro in dollari. Nel 2015, le autorità inglesi chiudono il caso, ma in Nigeria cambia il governo e così parte una valida cooperazione con l’Italia sul caso.

Sono tracciati tutti gli spostamenti degli 801 milioni di dollari arrivati nel Paese: più di mezzo miliardo era finito alle società dell'imprenditore Aliyu Abubakar, vicino al governo Jonathan. Il resto ad Etete, che si lancia in spese smodate e salda debiti passati. Nel 2015, sempre da un esposto di Re:Common e dei suoi partner, nasce un’inchiesta su Shell e i suoi manager anche in Olanda.

Nel febbraio del 2016, un raid congiunto della polizia olandese e della guardia di finanza italiana nella sede centrale della società all’Aja porta al sequestro di numerose prove.

Allo stesso tempo il governo nigeriano muove un’azione civile di asset recovery contro la Malabu a Londra e riesce a farsi assegnare gli 85 milioni di dollari sequestrati. Nel 2017 Adoke Bello fa causa contro il nuovo ministro della giustizia per fermare l’indagine penale in Nigeria, che però continua. Nel dicembre del 2017 arriva il rinvio a giudizio.

5. Quale è il reato contestato?

La Procura di Milano contesta il reato di corruzione internazionale, che è diverso da quello di corruzione “domestica”, in quanto emana dal dettato della Convenzione Ocse contro la corruzione di pubblici ufficiali stranieri, recepito nel nostro codice penale.

Il decreto di rinvio a giudizio parla di concorso nella corruzione internazionale di manager apicali di Eni e Shell, di vari intermediari e dell’ex ministro del Petrolio nigeriano Dan Etete nell’accordo per l’acquisizione della licenza del blocco petrolifero OPL245 e nel sistema di pagamenti che avrebbe beneficiato diversi politici nigeriani dell’amministrazione Jonathan. Vale l’aggravante per il reato, perché sarebbe stato commesso in almeno tre paesi (Nigeria, Italia e Regno Unito, in quest'ultimo perché è dove sono transitati i pagamenti per la presunta tangente).

Il reato sarebbe stato commesso dalla fine del 2009 alla metà del 2014 e la presunta tangente ammonterebbe a 1,1 miliardi di dollari, ossia l’intero prezzo pagato dalle società alla Malabu per il tramite del governo nigeriano.
Inoltre la Procura di Milano ipotizza la retrocessione di una parte della tangente a vantaggio di alcuni manager di Eni, con il presunto coinvolgimento in particolare di Roberto Casula, allora numero tre del cane a sei zampe

Da ulteriori indagini nate in Olanda su un esposto della stessa Shell, emergerebbe che anche un manager di Shell, Peter Robinson, potrebbe aver beneficiato di una parte dei soldi dell’OPL245 o di ricavi di altre licenze da cui Shell ha disinvestito lo stesso giorno in un cui è stato firmato l’accordo per l’OPL245.

6. Chi è a processo?

LaPresse

Nel dicembre 2017, il giudice Giuseppina Barbara del Tribunale di Milano ha firmato il decreto di rinvio a giudizio per Eni e Shell, per la loro responsabilità penale amministrativa, per 5 manager di Eni - Paolo Scaroni, ad di Eni ai tempi del reato contestato, Claudio Descalzi, oggi ad di Eni, allora numero due, Roberto Casula numero tre di Eni,  Vincenzo Armanna, project leader per l’OPL245, e Ciro Pagano, capo della controllata Nigeria NAE – 4 manager di Shell – Malcolm Brinded, allora numero due della società, Peter Robinson, manager per la Nigeria, John Copleston e Guy Colegate – l’ex ministro del petrolio della Nigeria Dan Etete, gli intermediari Luigi Bisignani, già condannato in Mani Pulite e per l’inchiesta P4, Gianfranco Falcioni, console onorario italiano a Port Harcourt in Nigeria, e Ednan Agaev, ex ambasciatore russo in Colombia.
Riguardo ai politici nigeriani in carica ai tempi del reato contestato e che avrebbero beneficiato dalla presunta tangente, secondo la Convenzione Ocse i presunti pubblici ufficiali corrotti non possono essere perseguiti in Italia, ma soltanto i presunti corruttori.

Allo stesso tempo l’ex ministro della Giustizia Adobe Bello è a processo in Nigeria con accuse di corruzione, frode e riciclaggio, insieme ad alcuni manager delle controllate locali di Eni e Shell, l’ex ministro del petrolio Dan Etete e l’intermediario Aliyu Abubakar, nella vulgata popolare noto come Mr. Corruption. E’ probabile che a breve lo stesso Abubakar sarà rinviato a processo anche a Milano per la stessa questione. Va sottolineato che tra Nigeria e Italia non vale il principio del doppio giudicato.

7. Su quali prove si basa l’accusa?

I pubblici ministeri Fabio de Pasquale e Sergio Spadaro hanno focalizzato la loro attenzione sulla mole poderosa di comunicazioni interne sequestrate nel corso di varie perquisizioni o rese disponibili dalle stesse società, nonché sulla documentazione acquisita dagli Usa, dal Regno Unito, dalla Svizzera e dalla Nigeria con numerose rogatorie internazionali.

Tali documenti proverebbero, secondo la pubblica accusa, il concorso tra tutti gli imputati nel raggiungere un accordo corruttivo, suggellato con un incontro ad alto livello ad Abuja alla metà del novembre 2010 e poi attuato per l’acquisizione della licenza OPL245 a fronte del pagamento della presunta maxi-tangente di 1 miliardo e 100 milioni di dollari.

Le prove acquisite dimostrerebbero che i manager e le strutture interne preposte delle due società erano ben consapevoli che dietro la Malabu ci fosse Dan Etete, come segnalato anche dalla due diligence esterna, con il quale, poiché già condannato, era problematico procedere con un’acquisizione diretta. Inoltre, i pubblici ministeri hanno interpretato molte comunicazioni interne e rapporti di incontri come un chiaro segno che Obi ed Agaev erano rispettivamente intermediari di Eni e Shell, più che della Malabu di Etete.

Secondo l’accusa, l’idea di uno schema che vede il governo Jonathan come intermediario nasce da Shell e quindi trova nel ministro Adoke Bello un perno della sua attuazione.

Questi ad inizio del 2011 si riesce ad imporre sulle agenzie tecniche del governo che avevano sollevato la loro opposizione alle condizioni contrattuali estremamente favorevoli e senza precedenti concesse alle società straniere. Così come per l’accusa nei numerosi incontri negoziali i rappresentanti della Malabu in realtà erano i collegamenti strutturali con il governo (Aliyu Abubakar) e con le due società (Femi Akinmade e ABC Orjiako).

La pubblica accusa è stata in grado di tracciare il flusso di denaro pagato fino in Nigeria e la conversione da dollari a naira nigeriani tramite diversi uffici di cambio. L’accusa ha mostrato come 10 milioni di dollari sono finiti a Bayo Ojo, che nel 2006 reintestò la licenza alla Malabu di Etete togliendola a Shell, e come Aliyu Abubakar avesse ripagato il mutuo concesso ad Adoke per comprare una casa a metà del suo valore reale tramite una società immobiliare dello stesso Abubakar. Inoltre la pubblica accusa ha portato prove che mostrano come circa 12 milioni di dollari gestiti da Aliyu Abubakar fossero stati trasferiti al senatore nigeriano John Obiorah.

Secondo la pubblica accusa, il blocco petrolifero Opl245 valeva più del miliardo e cento milioni pagati, ma soprattutto era stato acquisito con condizioni contrattuali estremamente vantaggiose, criticate della stesse agenzie tecniche del governo nigeriano, ma non ascoltate dal vertice politico. E questo sarebbe stato il beneficio ottenuto dalle società con il pagamento della presunta tangente.

Per questo motivo è stato richiesto il massimo della pena per Dan Etete – 10 anni di reclusione – e 8 anni per Scaroni, Descalzi e Brinded e via via a scalare per gli altri manager ed intermediari, nonché la confisca di un miliardo e 100 milioni di dollari alle società ed il pagamento di una sanzione pari ad altrettanti un miliardo e 100 milioni.

7. Quale è stata la difensiva degli imputati nel processo?

Per le difese la linea seguita dalla pubblica accusa è solamente un teorema che non trova riscontro nelle prove emerse in dibattimento. L’OPL245 era un asset conteso da più di un decennio e tutte le parti coinvolte si rendevano conto che era necessario trovare un accordo per il beneficio di tutti, al fine di cancellare tutte le pendenze giudiziarie e permetterne lo sfruttamento.

Per Eni la due diligence interna sull’affare è stata molta attenta a valutare tutti i dubbi che circondavano la Malabu di Dan Etete. Inoltre le prime offerte erano state condizionate. Ma soprattutto, Obi era l’intermediario di Etete e anche se gli era stato dato molto credito, non aveva nulla a che fare con Eni. Per la società si sono rispettate tutte le leggi nigeriane e la valutazione del blocco era corretta e considerava tutti i rischi collegati al suo sfruttamento. Inoltre gli accordi firmati non erano così capestro e il governo nigeriano avrebbe sia avuto la sua giusta parte, sia sarebbe potuto rientrare anche con una quota nella licenza, se voleva, mettendo così fine all’anomalia che escludeva la compagnia petrolifera nazionale dalla titolarità di una parte della licenza.

Per Eni e Shell, non era loro responsabilità controllare il flusso dei pagamenti una volta che il governo nigeriano fosse stato saldato. In ogni caso Bayo Ojo era stato pagato da Etete per pregresse consulenze legali, mentre alla fine Adoke non aveva comprato la casa, così come non è certo che i fondi arrivati sul suo conto tramite Abubakar fossero parte della provvista dell’OPL245. Eni e Shell hanno prodotto delle revisioni esterne sulle accuse che hanno confermato il corretto operato dei manager delle due società.

Molto dura, infine, l’Eni nei confronti del governo nigeriano, che secondo i vertici di San Donato si sarebbe reso responsabile della mancata conversione della licenza da esplorativa a mineraria, creando così un danno a Eni per gli investimenti già fatti – da cui discende l’arbitrato internazionale mosso nel 2020 quasi in risposta alla richiesta di danni della Nigeria al tribunale di Milano.

8. Quale è la posizione del governo nigeriano sul caso?

In Nigeria dal 2015 è in carica l’amministrazione guidata dal presidente Muhammadu Buhari, eletto con grande consenso popolare con una campagna elettorale centrata sulla lotta alla corruzione.  Da allora il governo della Nigeria e le autorità inquirenti locali, a partire dalla procura nazionale anti-corruzione Economic and Financial Crime Commission, hanno collaborato con la Procura di Milano.

All’inizio del processo, nel marzo 2018, la Nigeria in qualità di parte offesa ha richiesto con successo di essere riconosciuta come parte civile al procedimento e citato subito anche i responsabili civili di Eni e Shell. L’intervento della Nigeria nel procedimento di Milano costituisce un precedente importante per un Paese in via di sviluppo.

Nelle sue conclusioni, l’avvocato Lucio Lucia, in rappresentanza della Nigeria, ha chiesto una provisionale di 1,1 miliardi di danni, riservandosi in caso di condanna definitiva di adire ad un giudice civile per la piena richiesta di danni, che secondo i consulenti tecnici intervenuti nel processo potrebbero ammontare a 3,5 miliardi di dollari. Dalle carte processuali emerge che la stessa Shell abbia dato una valutazione del blocco pari a 3,2 miliardi di dollari, seppure il prezzo pagato fosse stato di molto inferiore visti i rischi collegati al suo sfruttamento.

Allo stesso tempo la Nigeria ha mosso diverse cause civili di asset recovery per recuperare il miliardo e 100 milioni non finito nelle casse dello Stato. Prima è riuscita a farsi assegnare da un giudice inglese gli 85 milioni di dollari sequestrati dalla Procura di Milano a Londra. Quindi ha citato la banca JPMorgan per danni di 875 milioni di dollari.

Il caso è stato accettato dall’Alta Corte di Londra e si svolgerà a fine 2021. Infine, sempre alla Corte di Londra, la richiesta di danni per un miliardo e cento milioni ad Eni e Shell non è stata accettata perché è già in corso il procedimento a Milano con una richiesta risarcitoria analoga.

9. Quale è stato l’esito del rito abbreviato per alcuni degli accusati?

Altri due imputati, gli intermediari Gianluca Di Nardo ed Emeka Obi, coinvolti nell’affare Opl245, hanno scelto il rito abbreviato nel corso dell’udienza preliminare del 2017 e sono stati condannati in primo grado dal Gip Giuseppina Barbara a 4 anni di reclusione ciascuno e alla confisca di 112 milioni di dollari, già sequestrati in Svizzera su richiesta della Procura di Milano. La sentenza del giudice Barbara si è basata solo sulle prove raccolte dalla pubblica accusa nel corso dell’indagine fino all’udienza preliminare.

La sentenza di appello del rito abbreviato è attesa nel mese di maggio 2021, quindi dopo la sentenza di primo grado del processo ordinario sull’OPL245. Recentemente il governo della Nigeria è intervenuto anche nel rito abbreviato come parte offesa. Sia la Nigeria che le difese hanno presentato alcune prove emerse dal dibattimento del processo ordinario di primo grado.

10. In quali altri casi di corruzione internazionale è stata coinvolta Eni?

Nel 2010, l’Eni ha patteggiato con le autorità americane una sanzione di 365 milioni di dollari ed una condanna sospensiva di due anni per la corruzione di Snamprogetti – allora controllata da Eni – nell’affare Bonny Island in Nigeria. La presunta corruzione per l’Opl245 sarebbe avvenuta nel 2011, quindi sotto condanna negli Usa. La Snamprogetti ha anche patteggiato in Nigeria per Bonny Island ed infine è stata condannata in giudicato in Italia nel 2016, quando era diventata parte di Saipem scorporata dal gruppo Eni.
L’Eni è stata assolta dall’accusa di corruzione internazionale in Algeria dopo la condanna di Saipem e dei suoi manager in primo grado, poi ribaltata in appello e in Cassazione.
Infine Eni è sotto indagine per corruzione internazionale riguardo al rinnovo di alcune licenze petrolifere in Repubblica del Congo avvenuto nel 2014-2015. La Procura di Milano ha chiesto il sequestro di due campi petroliferi e in subordine il loro commissariamento. Nelle prossime settimane, il tribunale dovrebbe decidere sulle richiesta.

Nell’ambito di questa indagine, l’amministratore delegato Claudio Descalzi ha ricevuto un avviso di garanzia per mancata dichiarazione di un presunto conflitto di interessi inerente la concessione di contratti a favore di società congolesi riconducibili a sua moglie.

11. Che cos’è l’asse delle spie?

Nel suo intervento conclusivo, la Procura di Milano ha spiegato come nell’ambito dell’intero negoziato per l’OPL245 abbia avuto un ruolo centrale un “asse delle spie”, ossia la presenza di rappresentanti di servizi segreti di vari paesi che hanno agito come personale di Eni o Shell o intermediari o membri dell’amministrazione nigeriana per facilitare un accordo non semplice da raggiungere.

Shell aveva impiegato due ex dell’agenzia di spionaggio per l’estero inglese, l’MI6 – per capirsi quella di James Bond – con il fine di relazionarsi con Dan Etete e diversi politici nigeriani.

Quindi Ednan Agaev, ex ambasciatore russo in odore di servizi, agiva in stretti contatti con Shell. Sul fronte italiano, il project leader di Eni per l’OPL245 era Vincenzo Armanna, vicino  ai servizi di intelligence italiani, per sua stessa ammissione al tribunale di Milano. Infine il Generale Aliyu Gusau, capo dell’intelligence nigeriana, era una figura chiave di riferimento per tutti gli altri agenti attivi nell’affare.

Sorprendentemente lo stesso Armanna è diventato a fasi alterne il grande accusatore di Descalzi e Casula nel corso dell’indagine e del dibattimento, tirando in ballo come testimoni altri agenti dei servizi nigeriani, tra cui Isaac Eke, noto come Victor Nwafor, che però lo ha smentito nell’aula processuale.

12. Che succederà dopo la sentenza?

LaPresse

Il 17 o il in subordine 31 marzo è attesa la sentenza del processo al tribunale di Milano. Probabile che ci sarà un appello, a prescindere da quale sarà l'esito della sentenza di primo grado. Ma non solo. La saga OPL245 è dibattuta in tribunali di altri tre paesi e ulteriori procedimenti potrebbero arrivare a processo anche in Italia.

In Nigeria sono a processo con accuse di corruzione, frode e riciclaggio i politici nigeriani allora al potere coinvolti nell’affare, in primis l’ex ministro della giustizia Adoke Bello, arrestato ed estradato da Dubai all’inizio del 2020. I tre tronconi processuali nigeriani coinvolgono anche manager locali delle due aziende e mediatori nigeriani, nonché Dan Etete.

In Olanda è ancora in corso un’indagine penale sul caso. Le accuse a Shell vanno ben oltre la corruzione internazionale. Una decisione sul rinvio a giudizio potrebbe arrivare entro l’anno.

A fine 2021 inizierà anche alla Corte di Londra il processo civile che vede la Nigeria chiedere danni per 800 milioni di dollari alla banca JP Morgan che ha veicolato i pagamenti della presunta tangente.

Ed infine in Italia, potrebbe arrivare ad una richiesta di rinvio a giudizio l’indagine, sempre condotta dalla Procura di Milano, sul presunto finto complotto architettato da legali esterni di Eni ed alcuni manager interni per depistare l’indagine sull’Opl245 ed inquinare lo stesso processo.

Inoltre, a maggio dovrebbe arrivare la sentenza di appello del rito abbreviato per gli intermediari Obi e Di Nardo. A questo si aggiungano le varie cause civili intentate da Eni per presunta diffamazione contro Il Fatto Quotidiano, la Rai/Report e il giornalista Claudio Gatti, sempre sulla stessa vicenda.

© Riproduzione riservata