«Le buone intenzioni non bastano, ora servono fatti», dice lo storico sindacalista, oggi segretario della Fiom Piemonte, dopo le parole di Carlos Tavares, Ceo di Stellantis. «Non abbiamo bisogno di pacche sulle spalle e premi di consolazione, ma di prodotti e di posti di lavoro»
«Di buone intenzioni sono lastricati 15 anni di cassa integrazione a Mirafiori, adesso è il momento di dimostrare questo attaccamento all’Italia con fatti concreti». Giorgio Airaudo, storico sindacalista e oggi segretario della Fiom Piemonte, risponde così alle dichiarazioni di Carlos Tavares, il Ceo di Stellantis che in due interviste pubblicate dal Sole24 Ore e dal Quotidiano Nazionale ha ribadito la centralità dell’Italia nelle strategie della multinazionale dell’auto promettendo nuovi investimenti nel nostro paese, che «insieme a Francia e Stati Uniti» resta «un pilastro» del gruppo, ha detto il manager.
Segretario Airaudo, non le convincono le parole di Tavares?
Tavares non deve dire, deve fare. Occorre saturare gli impianti, e per quello ci servono più modelli. Non abbiamo bisogno di pacche sulle spalle e premi di consolazione, ma di prodotti e di posti di lavoro. Sui tre milioni di metri quadri dello stabilimento di Mirafiori la metà è inutilizzato. Vanno benissimo i progetti sull’intelligenza artificiale, il battery park e quant’altro, ma sono iniziative di contorno alla produzione di autoveicoli, non possono nascondere la dismissione dell’impianto. All’affermazione di Tavares deve corrispondere un aumento di volumi produttivi, perché tutti gli annunci fatti non intaccano la cassa integrazione.
L’arrivo in Italia di un competitor andrebbe contro gli interessi italiani, come sostiene il Ceo di Stellantis?
Assolutamente no, e sinceramente non capisco perché Tavares esprima così tanta preoccupazione di fronte a questa ipotesi, ci leggo anche una velata minaccia: se arrivano i cinesi ce ne andiamo noi. Tutto questo denota una mentalità ancora legata alla vecchia Fiat, che considerava l’Italia il suo giardino di casa.
Parliamo di una multinazionale che ha competitor ovunque tranne che qui: in Francia c’è Renault, in Spagna c’è Seat e non solo, negli Stati Uniti poi non ne parliamo. Nell’incontro di due settimane fa a Novi Ligure, il ministro Urso ci ha parlato di due-tre produttori interessati a investire in Italia, non solo cinesi.
Se un’azienda come Tesla decidesse di produrre da noi, magari a Torino, dove sarebbe il problema? Questa difesa a oltranza delle rendite di posizione ha danneggiato il lavoro in Italia e non fa bene a nessuno: se sei in grado di competere, competi.
Tavares ha anche parlato di ottimi rapporti con i sindacati. Conferma?
I rapporti sono ottimi quando l’azienda e i lavoratori raggiungono accordi in cui a guadagnarci sono entrambi, altrimenti è semplice cortesia. Il 12 aprile ci sarà un grande sciopero a Torino come non si vedeva da anni, i lavoratori sono stanchi della cassa integrazione e io da sindacalista non posso certo essere contento.
Tavares anche in questo caso dia seguito dalle parole ai fatti: dovrebbe rompere gli indugi e incontrare i sindacati. Dovrebbe spiegarci come ha intenzione di arrivare al milione di veicoli prodotti, visto che ora siamo a meno di metà, e che fine ha fatto l’approdo dei cinesi di Leapmotor a Mirafiori, annunciato e poi sparito dai radar.
A Mirafiori si parla anche di un ritorno del motore termico, viste le poche vendite della 500 elettrica.
Se serve a dare fiato a uno stabilimento che è sempre più un gigante abbandonato è svuotato ben venga, ma non è certo una soluzione a lungo termine. La svolta elettrica va sfruttata, e non si può far ruotare tutto il discorso intorno agli incentivi, che riguarda tutti i governi. Il problema delle utilitarie elettriche è che costano molto di più, ma per favorire la transizione anche le case automobilistiche devono adeguarsi, scegliendo di guadagnare meno sul singolo prodotto ma vendendo di più.
Poi andrebbe ripensato il modello di produzione, che richiede una linea più verticalizzata, sul modello cinese e americano. Ma bisogna essere preparati a questa sfida, altrimenti a rimetterci non sono solo i lavoratori di Stellantis, ma l’intero paese, privato del suo tessuto industriale.
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