Gli investitori internazionali attaccano il governo per il decreto, che viene bocciato anche da Moody’s. I proventi del tributo saranno molto inferiori a quanto annunciato. E i banchieri trattano per nuove modifiche
A tre giorni di distanza dal decreto sugli extraprofitti bancari non si è ancora dissolta la nebbia che avvolge un provvedimento nato male e comunicato peggio. Anche dopo la pubblicazione, ieri pomeriggio, del testo in Gazzetta Ufficiale, restano ignoti alcuni dettagli della nuova tassa che potrebbero fare la differenza. Per esempio: come verrà calcolato esattamente l’attivo di bilancio che servirà da riferimento per stabilire il limite massimo del tributo per ciascuna banca? E come saranno trattati i proventi delle partecipate straniere degli istituti italiani? È probabile che verranno esclusi dal computo dell’imposta, ma per il momento non ci sono indicazioni ufficiali. Quest’ultimo aspetto è importante in particolare per Unicredit, la più internazionale delle banche italiane, con oltre il 50 per cento dei ricavi che vengono da oltrefrontiera.
Su questi e altri aspetti del prelievo straordinario sui «margini ingiusti» degli istituti di credito, come li ha definiti Giorgia Meloni, il governo sarà chiamato fare chiarezza nei prossimi giorni. Il testo, peraltro, è già cambiato in corso d’opera un paio di volte rispetto alla prima bozza, tra l’altro riducendo, e di molto, la soglia massima dell’imposta.
Basso profilo
In attesa di maggiori dettagli, è comprensibile che i banchieri abbiano finora preferito lavorare dietro le quinte, senza esporsi con dichiarazioni ufficiali e tantomeno con valutazioni critiche per la mossa a sorpresa dell’esecutivo. E infatti ieri il Comitato di presidenza dell’Associazione bancaria italiana (Abi), riunito in via straordinaria proprio per valutare la posizione da prendere sulla nuova tassa, si è concluso senza un comunicato ufficiale. La linea comune è quella della «cautela e del senso di responsabilità», secondo quanto è stato fatto filtrare dalle stanze dell’Abi. Insomma, basso profilo almeno fino a quando non sarà disponibile un testo definitivo. Viene fin d’ora esclusa, però, la linea del muro contro muro, magari condita con la minaccia di ricorsi in tribunale contro il decreto. Per il momento – si ragiona nelle stanze dell’Abi – è meglio tentare un approccio morbido, con l’obiettivo finale di ottenere ulteriori interventi migliorativi (per le banche, ovviamente) del decreto. Tutto questo tenendo presente che per motivi d’immagine e di consenso politico, il governo dovrà continuare, almeno nella forma, a mostrare un atteggiamento risoluto nel sostegno a una norma che serve dare nuovo smalto alla linea populista dentro la coalizione di maggioranza.
L’azione di lobby è partita già lunedì sera, appena conclusa la conferenza stampa in cui è stato annunciato un provvedimento che da principio ha completamente spiazzato i banchieri. Ancora più spiazzati, se possibile, sono rimasti gli investitori internazionali a cui negli ultimi due giorni ha dato voce il Financial Times, raccogliendo le critiche di gestori di fondi che hanno in portafoglio quote azionarie importanti nelle banche italiane. Ne è uscita una stroncatura senza appello, che attacca soprattutto la mancanza di trasparenza e il voltafaccia di un governo, che per bocca del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, solo due mesi fa aveva escluso che fosse allo studio una qualche forma di tassazione supplementare a carico degli istituti di credito. Ne esce più che appannata anche l’immagine di Giorgia Meloni, l’ex leader populista che nei mesi scorsi aveva fatto di tutto per piazzare negli ambienti finanziari il suo nuovo look da leader responsabile.
L’impatto sui conti
Un altro colpo alla credibilità del governo di Roma è arrivato ieri da Moody’s. L’imposta sugli extraprofitti è «credit negativ», recita un rapporto diffuso ieri dall’agenzia di rating, i cui giudizi fanno da bussola alle scelte degli investitori internazionali. Moody’s ha esaminato gli effetti del nuovo tributo sui conti delle cinque maggiori banche italiane (Intesa, Unicredit, Banco Bpm, Bper e Mps) concludendo che il prelievo supplementare «ridurrà sensibilmente i loro utili netti», con un impatto complessivo che dovrebbe aggirarsi «intorno al 15 per cento» dei profitti registrati nel 2022. Nonostante la nuova tassa, aggiunge però Moody’s, le banche quest’anno faranno segnare risultati migliori rispetto all’esercizio scorso. Un aiuto ai conti è arrivato dalla modifica del decreto varata martedì dal governo, che ha fissato allo 0,1 per cento dell’attivo di bilancio il limite massimo del prelievo straordinario. Quanto basta per ridurre in modo significativo l’impatto del decreto.
La modifica decisa dal governo ha spinto di nuovo al rialzo i titoli bancari nelle ultime due sedute di Borsa. Va detto però che nonostante il rimbalzo le quotazioni non hanno ancora recuperato per intero quanto perso da lunedì sera, dopo l’annuncio del governo. Al momento la più penalizzata è Bper Banca, l’unica in leggero calo anche ieri, che ha accumulato un ribasso dell’8,9 per cento, mentre la rimonta più importante è stata messa a segno da Unicredit, che ha perso l’1,2 per cento rispetto a lunedì scorso. Non è un caso che secondo i calcoli degli analisti, nel gruppetto dei big sarebbe proprio Bper Banca l’istituto più colpito dall’imposta, mentre Unicredit riuscirebbe a ridurre maggiormente le perdite rispetto ai concorrenti.
Salvini sconfessato
Quotazioni a parte, un fatto è certo: i proventi della tassa saranno molto inferiori rispetto a quanto annunciato al termine del Consiglio dei ministri. Lunedì sera, infatti, Matteo Salvini aveva parlato genericamente di «molti miliardi» e qualcuno si era spinto addirittura a ipotizzare 10 miliardi di proventi per le casse dello stato. Una stima più che dimezzata alla luce dei primi particolari sul contenuto del decreto. Infine, con la correzione di martedì sera, è quasi certo che il raccolto non raggiungerà i 3 miliardi. E potrebbe addirittura diminuire ancora, se le banche riusciranno a ottenere nuove modifiche una volta che il testo approderà in Parlamento per la conversione in legge. Poca cosa davvero per un governo che in vista della prossima manovra dovrà trovare, nella migliore delle ipotesi, almeno 30 miliardi per mantenere le promesse su cuneo, fiscale, pensioni e taglio dell’Irpef.
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