La Bce ha aumentato di un quarto di punto il tasso di riferimento, portandolo al 4,25 per cento, la presidente dell’istituto di Francoforte ha anche lasciato aperto uno spiraglio, come mai aveva fatto in precedenza, per uno stop entro il prossimo settembre
In mancanza di meglio, agli ottimisti non resta che aggrapparsi alle parole di Christine Lagarde. Perché se è vero che, come previsto, la Bce ha aumentato di un quarto di punto il tasso di riferimento, portandolo al 4,25 per cento, la presidente dell’istituto di Francoforte ha anche lasciato aperto uno spiraglio, come mai aveva fatto in precedenza, per uno stop entro il prossimo settembre della lunga serie di rialzi iniziata esattamente un anno fa, nel luglio del 2022.
«C’è la possibilità di un nuovo aumento, come anche di una pausa», ha detto Lagarde nella consueta conferenza al termine della riunione del Consiglio direttivo della Bce. E secondo gli aruspici che ogni mese si esercitano a interpretare il verbo della banca centrale, tanto basta a far pensare che questa volta ci sia la possibilità di una correzione di rotta della politica monetaria nell’Eurozona.
La Bce, si legge nel comunicato di ieri, ritiene che l’inflazione resterà «troppo elevata per un periodo di tempo troppo prolungato», ma sottolinea anche che non mancano alcuni «segnali di rallentamento». In effetti, l’indice dei prezzi nell’area dell’euro a giugno è sceso al 5,5 per cento contro il 6,1 di maggio e il 7 per cento di aprile, ma l’inflazione core, quella al netto dell’energia e dei prodotti alimentari tarda a rientrare nei ranghi, visto che il mese scorso ha fatto segnare un nuovo aumento dello 0,2 per cento rispetto al 5,3 per cento di maggio. Inoltre, i prezzi viaggiano a velocità molto differenti nei vari paesi: si va dall’aumento del 6,8 per cento registrato in Germania in giugno all’1,6 per cento della Spagna nello stesso mese, con l’Italia che, sempre a giugno, non ha fatto meglio del 6,4 per cento, che è comunque un passo avanti in confronto al 7 per cento di maggio.
Navigare a vista
Di fronte a indicazioni così diverse tra loro provenienti dall’economia reale era difficile pensare che la Bce potesse dare indicare una rotta precisa per l’immediato futuro. Si continua a navigare a vista, quindi, con un approccio definito «data dependent». Dopo la pausa di agosto, in base ai nuovi dati che saranno disponibili, non è da escludere che la stretta venga finalmente allentata, anche se al momento la previsione che raccoglie i maggiori consensi sui mercati finanziari indica un nuovo ritocco di altri 25 centesimi entro la fine dell’anno.
Con questo ulteriore aumento, il ciclo di politica monetaria restrittiva dovrebbe concludersi, almeno nelle attese degli analisti. E infatti, ieri le Borse europee si sono tutte mosse al rialzo, a cominciare da Milano che ha fatto segnare un progresso del 2,1 per cento proprio perché gli investitori scommettono su un cambio di rotta, al più tardi in settembre, da parte della Bce. Si vedrà. Intanto però i paesi dell’area euro, Italia compresa, dovranno fare i conti con gli effetti del nono rialzo consecutivo del costo del denaro, che ha portato i tassi al livello più alto dal lontano 2001.
Tre giorni fa, il periodico rapporto della Bce sul mercato del credito (Bank lending survey) ha segnalato che nel trimestre aprile-giugno la richiesta di finanziamenti delle imprese si è portata ai minimi storici dal 2003. La diminuzione del 42 per cento, che fa seguito un calo del 38 per cento primi tre mesi dell’anno è la conseguenza diretta dell’aumento dei tassi sui prestiti bancari e anche delle previsioni pessimistiche sull’andamento dell’economia.
Prestiti più cari
In sostanza, le aziende hanno sempre più difficoltà a far fronte agli interessi chiesti dalle banche sui finanziamenti. Allo stesso tempo gli imprenditori si muovono con prudenza perché temono che il clima economico sia destinato a deteriorarsi. Questi dati dimostrano che la stretta imposta dalla Bce nell’ultimo anno sta incominciando ad avere effetto.
Con ogni probabilità il deterioramento delle condizioni creditizie non potrà che proseguire almeno fino alla fine dell’anno, visto che, come sottolinea la quasi totalità degli analisti, la trasmissione sull’economia reale delle decisioni di politica monetaria della banca centrale avviene con un ritardo di alcuni mesi, fino a un anno e oltre.
Quindi, come ha confermato di recente la Banca d’Italia, la domanda di finanziamenti bancari da parte delle imprese continuerà a ridursi anche negli ultimi due trimestri del 2023. Lo stesso vale per i mutui immobiliari. Anche in questo caso le famiglie faticano a tenere il passo con l’aumento dei tassi richiesti dagli istituti di credito.
Il Pil rallenta
Questi dati di solito aprono la strada a un rallentamento complessivo del ciclo economico. L’Italia, come ha confermato due giorni fa il Fondo monetario internazionale, continua a viaggiare a un’andatura più sostenuta rispetto alla media della zona euro, con un Pil che secondo il Fmi dovrebbe aumentare nel 2023 dell’1,1 per cento (Bankitalia prevede 1,3 per cento).
Meglio della Francia, quindi, prevista in crescita dello 0,8 per cento e della Germania, che dovrebbe addirittura arretrare dello 0,3 per cento, mentre per l’area Euro il dato di quest’anno non dovrebbe andare oltre un più 0,9 per cento. Il settore del turismo, al pari dei servizi in generale, hanno fin qui sostenuto i risultati dell’Italia, ma la crescita ha il fiato corto, con tutti gli indicatori che segnalano un netto rallentamento nel secondo trimestre dell’anno.
È l’industria a far segnare la frenata più evidente. A maggio, ultimo dato disponibile, il dato della produzione industriale era in calo del 3,7 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno scorso e in aprile la diminuzione era stata addirittura del 7,2 per cento. Con numeri come questi, la gran bolla delle polemiche politiche sulla Bce che «strozza l’economia» è destinata a gonfiarsi ancora. In attesa della svolta di settembre, se mai ci sarà.
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