L’inflazione italiana sotto al 2 per cento è una grande vittoria politica, ma le ragioni di questo calo nascondono previsioni economiche molto meno rosee. E la mancanza di crescita per più di metà del mandato sarà difficile da far digerire agli elettori.
Costo della vita in calo, ma il Pil è fermo. La buona notizia sul fronte dei prezzi viene di fatto oscurata da quella sulla crescita. L’Istat ha pubblicato i dati sull’inflazione a ottobre, che è scesa all’1,8 per cento, dal 5,3 per cento registrato in settembre. Il dato, però, va contestualizzato per capire se davvero siamo usciti dalla morsa dell’inflazione dell’ultimo anno e mezzo.
La pessima notizia, invece, arriva dall’andamento del Pil: secondo le stime preliminari di Istat, nel terzo trimestre la produzione è rimasta stabile. Certo, meglio di un calo, ma questo nuovo dato significa che la produzione italiana non cresce da ben sei mesi: nel secondo trimestre, infatti, il Pil era calato dello 0,4 per cento.
La crescita acquisita nel corso dell’anno resta positiva (più 0,7 per cento finora), ma non è ancora neppure garantito che si arriverà al già molto magro più 0,8 per cento delle previsioni governative. Il dato positivo sull’inflazione potrebbe perlomeno far sperare che l’emergenza da questo punto di vista sia finalmente chiusa.
Non è così: l’aumento dei prezzi piuttosto limitato è dovuto soprattutto al periodo di riferimento che si prende in considerazione. Ottobre 2022 è infatti il mese in cui si è registrato il dato più elevato nel corso di questa crisi inflattiva, con i prezzi che erano aumentati dell’11,8 per cento rispetto all’anno precedente.
Energia meno cara
Il motivo principale era l’andamento del costo dell’energia, che era cresciuto del 71 per cento rispetto all’anno prima. Quest’anno si è registrata la dinamica opposta: l’inflazione è piuttosto bassa soprattutto perché è calato il prezzo dei beni energetici (meno 17 per cento per quelli regolamentati, meno 32 per i non regolamentati). Resta il fatto che l’inflazione di fondo, ossia al netto dei beni energetici e alimentari, è ancora molto al di sopra della soglia del 2 per cento (era al 5,3 per cento a ottobre 2022, è al 4,2 oggi).
Il cosiddetto carrello della spesa, che comprende i beni alimentari per la cura della casa e della persona ha fatto registrare ancora un aumento del 6,3 per cento. Insomma, nonostante il calo del costo dell’energia, ci sono ancora moltissimi beni e servizi i cui prezzi stanno aumentando più del normale, con perdita di potere d’acquisto da parte delle famiglie.
L’inflazione di fondo elevata significa anche che le politiche di tassi alti della Bce dovranno necessariamente proseguire ancora per un po’. È giusto così: i danni dell’alta inflazione sono decisamente più gravi nel medio periodo rispetto a un rallentamento economico nel breve, ma per Meloni questo significa dover navigare ancora a lungo in una situazione economica molto poco soddisfacente, tra costi dei mutui alti, perdita di potere d’acquisto e crescita in calo.
Effetto Germania
Le politiche del governo non stanno facendo granché per stimolare la crescita, ma questo non significa che la situazione attuale sia da attribuire del tutto all’esecutivo. L’aumento dei tassi, frutto delle decisioni della Bce, è un fattore molto importante in questo rallentamento, soprattutto in un paese come l’Italia in cui moltissime famiglie hanno contratto un mutuo.
Anche la recessione in Germania non aiuta: la nostra industria è fortemente dipendente dai rapporti con quella tedesca e un “cliente” così importante in difficoltà non è una buona notizia per le aziende.
L’esecutivo, però, non è esente da colpe, dalla lentezza nell’attuazione del Pnrr, alla decisione di aumentare ulteriormente il deficit per utilizzarlo per spesa non particolarmente produttiva. Lo si vede dal confronto con gli altri Paesi. Nel terzo trimestre del 2023 la crescita del Pil, rispetto allo steso periodo dell’anno scorso, è stata dello 0,7 per cento in Francia e dell’1,8 per cento in Spagna. Solo la Germania, in calo dello 0,4 per cento, ha fatto registrare un dato peggiore.
Per fine anno, secondo le previsioni del Fondo monetario, la diminuzione del Pil tedesco si fermerà allo 0,5 per cento, l’Italia non andrà oltre lo 0,7 per cento contro l’1 per cento in Francia e addirittura il 2,5 per cento della Spagna.
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