- Il presidente americano cita il report sulle 55 aziende che pagano zero tasse negli Stati Uniti. Da Nilke che ottiene uno sconto di 109 milioni di euro agli zero dollari di SalesForce.
- Biden smonta il paradigma liberista del gocciolamento della ricchezza e dice ora la ricchezza deve venire dal basso e dal centro.
- La sua proposta è un moderato ritorno a una aliquota del 28 per cento rispetto a Trump, ma concettualmente si tratta della fine di un’era.
Matt Gardner studia il fisco americano da più di vent’anni. Per un decennio è stato il direttore dell’Institute on taxation and economic policy (Itep) di Washington ed è con lui che bisogna parlare per capire perché il presidente degli Stati Uniti Joe Biden nel suo primo discorso al congresso ha annunciato una riforma delle imposte sulle aziende che è un vero cambio di paradigma. Biden ha fatto riferimento al rapporto pubblicato dall’Itep a inizio aprile che elencava le cinquantacinque aziende che nel 2020 avevano pagato zero tasse al fisco americano, ottenendo anzi spesso generosi sconti fiscali.
Il report include colossi della manifattura come Nike o del software come Salesforce e ne elenca cinquantacinque solo perché si limita a quelle incluse nei principali indici borsistici americani. «La nostra analisi si basa sulle dichiarazioni delle stesse aziende e si tratta di aziende di tutti i settori, non si limita affatto alle imprese tecnologiche che pure basandosi su asset intangibili riescono più facilmente a eludere le tasse», dice collegato dall’altra parte dell’Atlantico via Zoom.
109 milioni per Nike
Le cifre del rapporto dell’Itep non raccontano infatti sistemi complessi di illeciti, ma la normalità di un sistema fiscale in cui agevolazioni stratificate generano paradossi perfettamente legali. Nike, per esempio, non solo non ha pagato un dollaro su quasi 2,9 miliardi di di utili, ma ha ottenuto uno sconto fiscale di 109 milioni di dollari. Il risultato complessivo è che le cinquantacinque aziende a tasse zero invece di pagare 8,5 miliardi al fisco – calcolati su una aliquota al 21 per cento - hanno avuto indietro 3,5 miliardi di sconti. Il buco per i contribuenti statunitensi è di 12 miliardi.
Dopo anni a studiare la distribuzione delle imposte nei cinquanta stati d’america, il ricercatore fa un ragionamento che suona quasi controintuivo: «Un argomento comune per sostenere i tagli al fisco è che vogliamo incentivare le aziende a creare buoni posti di lavoro e a investire in ricerca, crediamo insomma che siano efficienti. Ma sottovalutiamo che alla fine dei conti, i benefici fiscali sono o dovrebbero essere una piccola parte del fare business, e che la creazione di capacità produttiva o gli investimenti in ricerca dovrebbe essere guidata dalla domanda di prodotti».
Nell’annunciare la sua riforma, Biden ha aggiunto un tassello utleriore. Di fronte al Congresso, nel discorso dei suoi primi cento giorni, ha detto che «l’economia del gocciolamento dall’alto», cioè l’idea che la ricchezza dei più agiati si trasmetta al resto della società, «non ha mai funzionato».
Di recente uno studio della London School of economics su diciotto paesi Ocse era arrivato alla stessa conclusione. Ma con quelle poche parole il 46esimo presidente americano ha picconato uno dei feticci della politica economica liberista incarnata dall’amministrazione Reagan, ma da cui i democratici non avevano mai così apertamente preso le distanze.
Le due questioni, la tassazione dei ricchi e quella dei guadagni delle società di capitale, sono legate dice François Bourguignon, già capo economista della Banca mondiale e preside della Paris school of economics. «L’aliquota marginale effettiva pagata dall’un per cento che possiede grandi fortune negli Stati Uniti è in media del 30 per cento, molto meno dell’aliquota massima, proprio perché la maggioranza di quei redditi vengono dal capitale», dice Bourguignon, «Per dirla con Warren Buffett, può capitare che paghino meno tasse delle loro segretarie».
Bourguignon si è occupato per anni di studiare povertà e disuguaglianza e ha osservato nelle economie avanzate il progressivo e generalizzato calo della tassazione sul capitale, mobile rispetto al lavoro, e frutto della concorrenza al ribasso sulla tassazione a cui la segretaria del tesoro americano Janet Yellen oggi dice di voler mettere fine.
Per frenare la competizione, gli Stati Uniti propongono per questo una tassazione minima globale delle imprese al 21 per cento. Francia e Germania hanno appoggiato apertamente la proposta, mentre il ministero dell’economia italiano per ora non commenta. Da presidente del G20 il nostro governo vorrebbe celebrare l’accordo storico a Venezia, ma attende che i negoziati in sede Ocse proseguano senza prendere posizione.
La risposta all’emergenza
In casa, invece, la proposta di Biden si limita a voler riportare l’aliquota sulle imprese al 28 per cento, un compromesso rispetto al taglio drastico dal 35 al 21 per cento di Donald Trump. Del resto, con un piano di ripresa da 2mila miliardi da finanziare e a un debito lievitato su cui si consumano aspre battaglie politiche, quella del presidente americano può essere considerata una risposta adeguata alla contingenza. Una moderata attenzione ai conti pubblici.
Ma le sue parole sembrano segnare un prima e un dopo: «È ora di far crescere l'economia dal basso e dal centro», ha detto il presidente statunitense, non solo capovolgendo il principio del gocciolamento, ma proponendo di chiudere un’intera era aperta proprio a Washington.
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