A settembre la maggioranza dovra iniziare a lavorare alla legge di Bilancio. L’impennata del costo del debito pesa sempre di più sui conti pubblici. E diventa sempre più difficile finanziare i tagli alle tasse promessi agli elettori
Ospite alla festa della Lega in quel di Cervia, in Romagna, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha confessato di essersi messo a dieta per prepararsi alle fatiche autunnali della legge di Bilancio.
Scherzi a parte, il titolare del Mef ha poi aggiunto che il governo ha il dovere di far fronte alle «priorità», divise in due categorie. Ci sono quelle «ideologiche», legate all’attuazione del programma di governo. Le altre priorità, dice il ministro, derivano invece da «situazioni non prevedibili».
Naturalmente Giorgetti si augura che queste ultime non finiscano per annullare le prime. Dalle sue parole, però, è facile capire che a settembre, quando si entrerà nel vivo dei lavori per la prossima manovra finanziaria, anche i conti pubblici avranno bisogno di una dieta ferrea per affrontare una congiuntura economica peggiore rispetto alle previsioni del governo. Con il rischio, per l’esecutivo, che finiscano in coda, oppure nel nulla, le priorità ideologiche, che poi sarebbero le tante promesse dei partiti di maggioranza ai propri elettori.
Molto dipende dall’inflazione, che tarda a rientrare nei ranghi, nonostante la stretta monetaria gestita dalla Bce. E per un paese soffocato da un debito pubblico monstre da 2.750 miliardi, l’aumento dei tassi deciso da Francoforte si è già tradotto in un’impennata della spesa per interessi, cioè gli esborsi per far fronte all’aumento dei rendimenti dei titoli di stato.
«Nel 2023 l’onere supplementare per lo stato sarà di 14-16 miliardi rispetto all’anno scorso», ha detto Giorgetti a Cervia. E non potrebbe essere altrimenti se si pensa che l’ultima emissione di Bot annuali, quella del 27 luglio scorso, garantisce ai sottoscrittori un interesse del 3,82 per cento. A febbraio i Bot annuali collocati dal Tesoro rendevano invece il 3,17 per cento e l’anno prima avevano addirittura un rendimento sottozero: meno 0,32 per cento.
Quei 14-16 miliardi di oneri supplementari stimati da Giorgetti si traducono in minori risorse da destinare alla sanità, alla scuola, alle pensioni. Il governo sarà quindi costretto a tagliare altri capitoli di spesa per finanziare i costi crescenti del debito pubblico. Il futuro prossimo non promette niente di buono.
A settembre, nella migliore delle ipotesi, la Bce lascerà invariati i tassi, ma al momento sembra più probabile un ulteriore incremento dello 0,25 per cento, che sarebbe il decimo consecutivo da luglio 2022. Questo significa che gli oneri per il Tesoro potrebbero aumentare ancora.
Effetto Bce
Tirando le somme, la spesa per interessi del 2023, che nel Def (Documento di economia e finanza) presentato dall’esecutivo ad aprile era prevista intorno a 75 miliardi, con ogni probabilità finirà per superare la soglia dei 90 miliardi.
La curva in salita dei tassi avrà effetti ancora più pesanti nel 2024, perché nei due anni precedenti, i titoli in scadenza saranno stati sostituiti da Bot e Btp con rendimenti più elevati. Risultato: nel 2024 gli oneri sul bilancio pubblico saranno di molto superiori agli 86 miliardi stimati dal governo nel Def della primavera prossima.
Tra fine luglio e i primi d’agosto, prima di rifugiarsi nel suo buen retiro sul lago di Varese, Giorgetti ha ricevuto da ciascun ministro una lista di richieste in vista della prossima manovra. I numeri della finanza pubblica sono quelli che sono e quindi l’unica prospettiva possibile è quella di tagli, anche importanti, alla lista della spesa presentata dai singoli dicasteri. Compresi quelli che viaggiano da tempo in piena emergenza.
È il caso della Sanità, che già nelle tabelle di previsione del Def di aprile aveva subito una forte penalizzazione in termini reali. Nel 2024 la voce «spesa sanitaria» è previsto che arrivi a 136 miliardi circa con un aumento nominale del 3,5 per cento circa rispetto al 2021, che però corrisponde a un taglio di oltre il 10 per cento in termini reali, cioè al netto dell’inflazione.
Secondo indiscrezioni il ministro della Salute, Orazio Schillaci, avrebbe chiesto almeno 4 miliardi per una serie di interventi considerati irrinunciabili. Al momento pare difficile, se non impossibile, che la richiesta venga esaudita, visto che al momento le risorse supplementari disponibili per quella che dovrebbe essere una delle massime priorità per il governo non superano i 3 miliardi.
I conti si faranno a settembre, certo, ma se perfino il capitolo salute viene maltrattato, è facile prevedere che la prossima manovra provocherà nuove tensioni tra i partiti della maggioranza.
Misure bandiera
Del resto, alla luce dei conti pubblici, rischiano grosso anche le misure bandiera del governo, sbandierate da Giorgia Meloni come tappe irrinunciabili nell’azione dell’esecutivo per il rilancio del paese. Tra queste, per fare un esempio, rientra anche il taglio del cuneo fiscale, uno dei punti qualificanti del decreto Lavoro.
Il provvedimento annunciato a maggio ha portato aumenti in busta paga per un massimo di 100 euro per i lavoratori dipendenti con un reddito non superiore a 35mila euro. Il taglio del cuneo però è stato finanziato fino a dicembre. Per estendere i benefici del decreto anche al 2024 servono non meno di 9 miliardi, che il governo dovrà racimolare tra le pieghe del bilancio.
Poi c’è il capitolo del fisco, che corrisponde in larga parte alla delega che proprio ieri è stata approvata in via definitiva dalla Camera (la premier Meloni l’ha definita «una riforma strutturale e organica, che incarna una chiara visione di sviluppo e crescita e che l’Italia aspettava da cinquant’anni»).
Tra le tante novità previste nel testo c’è anche la riduzione delle aliquote Irpef, che dovrebbero passare a tre dalle quattro attuali. Il costo dell’intervento per il bilancio pubblico dipende ovviamente da come verranno fissati i vari scaglioni di reddito. Le ipotesi che circolano variano dai 3 ai 5 miliardi. Una somma che al momento non sembra alla portata della prossima manovra.
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