Era il 24 giugno 2019 quando l’Italia si aggiudicò i giochi olimpici invernali del 2026, battendo la Svezia. Passarono meno di sei mesi e l’8 dicembre alcuni pazienti mostravano i sintomi di una nuova malattia virale in Cina: era l’inizio della pandemia di Covid-19. Chissà se i presidenti delle regioni Veneto e Lombardia, Luca Zaia e Attilio Fontana, e il sindaco di Milano Beppe Sala, sapendo quello che sarebbe successo negli anni successivi, avrebbero insistito con tanto vigore per conquistare le Olimpiadi Milano-Cortina.
Perché sui costi e sui tempi della mega operazione lombardo-veneta la pandemia ha avuto un impatto enorme, a cui si sono aggiunte la guerra in Ucraina e, non ultima, l’abituale tendenza degli italiani a presentarsi un po’ trafelati ai grandi appuntamenti: basti pensare che la Società Infrastrutture Milano Cortina (Simico), centrale di committenza e stazione appaltante delle opere connesse allo svolgimento dei XXV Giochi olimpici e paralimpici invernali del 2026, è stata costituita solo il 22 novembre 2021 ed è operativa dall’aprile 2022, quasi tre anni dopo l’aggiudicazione dell’evento.
La cabina di regia, alla quale partecipano una ventina di enti, dalla presidenza del Consiglio alle regioni coinvolte, dal ministero dell’Economia fino al sindaco di Cortina, è stata creata il 17 febbraio di quest’anno e adesso si riunisce a ritmi accelerati, un paio di volte al mese. La macchina organizzativa si è mossa in ritardo, con tre governi che nel frattempo si sono succeduti a Roma, e ora è in affanno per rispettare la tabella di marcia, tra bandi da rivedere e impianti da spostare.
E dire che nelle intenzioni il progetto dei giochi invernali era partito bene: l’input del Comitato olimpico internazionale e della Fondazione Milano Cortina 2026 era di utilizzare il più possibile impianti già esistenti, evitando spese inutili e coinvolgendo i privati. Il risultato è l’Olimpiade più diffusa nella storia dei Giochi: le competizioni si svolgeranno in nove sedi diverse, coinvolgendo 21 capoluoghi di provincia e 2.300 comuni di Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige.
Infrastrutture stradali
In seguito all’aumento dei costi provocato da pandemia e guerra in Ucraina, l’ammontare degli investimenti pubblici per le opere previste è lievitato dai 2,6 miliardi previsti all’inizio del 2022 agli attuali 3,6 miliardi scarsi. L’attenzione dei giornali si concentra naturalmente sulle spese e sui ritardi che riguardano gli impianti sportivi, a partire dalla pista da bob di Cortina.
Ma in realtà di quel fiume di 3,6 miliardi di fondi pubblici, più di due terzi servono a realizzare infrastrutture stradali e in parte ferroviarie per migliorare la circolazione nelle aree interessate dai Giochi, e non solo.
Le opere pubbliche previste per le Olimpiadi del 2026 sono indicate negli allegati del decreto del presidente del Consiglio dell’8 settembre scorso: si tratta di 111 interventi, di cui 58 per la riqualificazione di impianti sportivi e la costruzione dei relativi villaggi olimpici (per un totale di 805,4 milioni di euro) e 53 per le infrastrutture (2,76 miliardi).
Queste ultime sono le più varie: dalla circonvallazione di Dobbiaco (35,1 milioni) al collegamento della stazione di Malpensa alla rete ferroviaria nazionale (257 milioni) fino al completamento del percorso ciclabile "Abbadia Lariana" (31,9 milioni). Tutte opere che hanno ben poco a che fare con i Giochi ma che rappresentano l’eredità che le Olimpiadi dovranno lasciare sul territorio.
Tra gli interventi stradali più cari e complicati ci sono la variante di Longarone, che costa quasi 396 milioni, e il lotto 2 della variante di Cortina, 483,2 milioni. Due opere che viaggiano in ritardo e che rischiano di essere concluse dopo la fine dei Giochi.
Gli impianti
Per quanto riguarda invece gli impianti sportivi, Milano ha spostato alla Fiera di Rho sia l’hockey su ghiaccio femminile previsto in precedenza al Palasharp, troppo costoso da ristrutturare, e sia le gare di pattinaggio su velocità, fissate in origine a Baselga di Pinè, Trentino. Mentre è partita la costruzione del Palaitalia Santa Giulia, realizzato da investitori privati per ospitare le gare di hockey maschile e diventare poi una nuova arena per i milanesi. Il costo del Palaitalia sarebbe lievitato da 180 a 270 milioni di euro. Anche il villaggio olimpico di Milano dovrebbe rispettare i tempi.
Il problema più grave resta quello dello Sliding Center, la pista di bob, slittino e skeleton che dovrebbe sorgere a Cortina. Un impianto molto critico perché rischia di diventare una piccola cattedrale nel deserto dopo i Giochi, come è successo alla pista di Cesana Torinese. Al bando di gara non si è presentata nessuna azienda e ora la Simico sta cercando in extremis un’impresa capace di portare a termine i lavori. Mentre Zaia ha aperto alla possibilità che le gare non si svolgano nella città veneta.
Innsbruck si è fatta avanti offrendo la propria pista, che però andrebbe adeguata: fatti due conti, si è visto che all’Italia trasferire il bob nella città austriaca costerebbe una sessantina di milioni, e un sacco di problemi logistici e organizzativi. È girata anche l’ipotesi di usare la pista di Sankt Moritz, che però necessita di un’autorizzazione ad hoc del Cio. Ma circola anche un piano per gareggiare addirittura nell’impianto di Pechino. Incredibile ma vero.
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