- La corte dei conti vuole rivedere l’accordo tra il Consorzio Venezia Nuova e il provveditorato alle opere pubbliche approvato dal governo.
- Con un emendamento al Milleproroghe intanto si mette in sicurezza l’accordo con le imprese creditrici.
- Il consorzio deve troppi soldi a tutti per farlo fallire. Commissario dopo commissario, però, i lavori però restano in stallo.
Dall’obiettivo di salvare Venezia dalle acque a quello di salvare il Consorzio Venezia nuova (Cvn) dai suoi debiti. Per questo è stato approvato un emendamento al decreto Milleproroghe per evitare l’irreparabile, cioè che gli accordi con le imprese per tenere in piedi il concessionario a cui abbiamo affidato i lavori (in stallo) del Mose debbano aspettare il bollino della Corte dei conti. Secondo documenti consultati da Domani, però, i magistrati contabili hanno deferito anche l’accordo tra Cvn e provveditorato, già approvato dal ministero.
Negli ultimi mesi la priorità di tutte le istituzioni è stata salvare quello che all’epoca della presidenza di Giovanni Mazzacurati è stato al centro della più grande corruzione mai avvenuta in Italia e poi, con la gestione commissariale successiva, un centro di spese scriteriate e infine oggi, con il nuovo commissariamento in vista della liquidazione, è rimasta una scatola vuota alla ricerca di liquidità per saldare debiti e far fronte alle dispute giudiziarie seguite alla condanna dei suoi vertici. Resta anche l’ente concessionario per il completamento delle opere per proteggere Venezia. Nonostante sia stato creato un apposito commissario straordinario al Mose, la potete Elisabetta Spitz, l’aggiornamento della convenzione approvato nel 2021 dal Cipess riconosce ancora a Cvn un ruolo centrale, destinare altri 538 milioni di euro e proroga il contratto senza penali.
Cvn deve presentare una proposta definitiva di ristrutturazione del debito per evitare il fallimento entro il 28 febbraio. Per questo il ministero delle Infrastrutture ha approvato via decreto l’accordo tra il consorzio e il provveditorato interregionale per le opere pubbliche di Veneto, Trentino e Friuli, che prevede la cancellazione di circa 132 milioni di debiti del consorzio. L’avvocatura dello stato di Venezia ha dato parere positivo con una lettera del 27 gennaio in cui si argomenta che l’eventuale fallimento «renderebbe oltremodo gravoso e aleatorio l’effettivo recupero delle somme da parte dell’amministrazione statale nei confronti del Cvn», nonché «la concreta conclusione dell’opera». Anche la presidenza del Consiglio e il ministero sono in attesa di soldi. Il fallimento non è previsto.
Commissari alla spesa
Il Cvn è nato nel 1982, 10 anni prima di Tangentopoli, e non può morire. Solo tra il 2003 e il 2017, dice il bilancio 2020 di Cvn, ha inghiottito 6,4 miliardi di fondi pubblici: non sono bastati per terminare i lavori, nel 2020 le barriere sono state messe in funzione, ma solo in via sperimentale. Il commissario liquidatore nominato a fine 2020 si è ritrovato 200 milioni di debiti, soprattutto nei confronti delle stesse imprese consorziate, tra le quali a loro volta c’erano aziende inadempienti che non versavano la quota dovuta al consorzio – in un documento recente del provveditorato alle opere pubbliche si parla della necessità di un prestito per «imprese al collasso» – e poi contenziosi pendenti per oltre 550 milioni.
Commissari alla spesa
I vertici che lo hanno gestito fino al 2014 hanno prodotto fatture inesistenti e tangenti, fino a 40 milioni di euro da pagare all’Agenzia delle entrate, il commissariamento anche della Comar, consorzio delle tre principali aziende coinvolte. I commissari straordinari che sono seguiti spendevano 22 milioni di euro l’anno solo di gestione, 14 milioni per i dipendenti, e intanto i lavori rallentavano, i soldi non venivano spesi per i progetti. E la situazione non è migliorata nemmeno con il commissario straordinario. Il termine dei lavori è slittato, prima al 2021, ora al 2023, forse al 2025, e quindi l’aumento dei costi di manutenzione e gestione.
Cvn intanto sta negoziando l’accordo transattivo con le aziende consorziate con cui è indebitato, e anche su questo servirà il parere della Corte dei conti, che rischiava di arrivare dopo la scadenza sul piano di risanamento. Ma l’intervento puntualmente arrivato attraverso il Milleproroghe permette l’entrata in vigore dell’accordo a partire dalla data della sottoscrizione.
Gli accordi con le imprese
Domani ha potuto vedere una delle scritture private con le imprese che aderiscono al consorzio. L’accordo prevede che l’impresa rinunci a tutte le iniziative giudiziarie e che acconsenta una riduzione del 25 per cento sui lavori già previsti, per corrispondere quel 25 per cento allo stesso consorzio, e infine anche una riduzione del 16 per cento sui costi delle opere di ingegneria, sempre da corrispondere al consorzio. In cambio ottiene di non essere coinvolta nella causa di risarcimento danni avanzata dallo stato nei confronti dello stesso consorzio e il pagamento dei lavori già realizzati e non pagati: il 30 per cento a dieci giorni dall’approvazione del piano di risanamento, il 20 per cento entro la fine di aprile e l’altro 50 per cento entro la fine di novembre.
Prima però c’è da superare l’ostacolo Corte dei conti: secondo i documenti che ha visto Domani il 15 febbraio la Corte ha deferito l’accordo tra provveditorato e consorzio: da una parte, fa notare un magistrato, l’intesa afferma che 42 milioni di euro chiesti dal Consorzio al Provveditorato «non sono riconosciuti», dall’altra che la cifra verrà versata successivamente. Per questo è stata chiesta una adunanza pubblica, entro il 28 febbraio, per valutare la legittimità del decreto.
La Corte aveva già considerato di carattere eccezionale un altro provvedimento varato per “salvare” il consorzio, cioè l’atto (il settimo) con cui a gennaio è stata aggiornata la convenzione che regola i rapporti con il concessionario e che appunto eccezionalmente prevedeva la contabilizzazione anticipata nel bilancio del Consorzio di ricavi pari al 12 per cento di quanto ricevuto, giustificata «solo ed esclusivamente dal rappresentato interesse pubblico ad assicurare la prosecuzione e il completamento dei lavori in tempi rapidi».
Al momento, però, i lavori sono praticamente fermi. Ieri la deputata di Italia viva Sara Moretto ha chiesto conto al ministero «dello stallo» e di una governance che da mesi è tutta precaria». Al momento l’autorità per la Laguna, istituita anche per superare il sistema attuale dei commissari, è ancora senza vertici. Il ministero ha risposto che per ora hanno tutti agito bene.
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