- L’Istat ha messo in luce in particolare la crescita della povertà assoluta. Essa è raddoppiata dal 2005 arrivando a includere quasi due milioni di famiglie (il 7,5 per cento del totale).
- Da notare che invece la spesa per politiche attive, volte a favorire l’inserimento al lavoro di donne e giovani, e a sostenere la formazione, la riqualificazione e l’innovazione, è la più bassa nel contesto europeo.
- Dunque la forte presenza della povertà assoluta e della disuguaglianza dei redditi, aggravate dalla pandemia, chiamano in causa con ancor più urgenza la necessità di intervenire in modo coerente sul sistema di welfare e su quello fiscale.
È noto che l’Italia è un paese con forti disuguaglianze sociali. Il Rapporto annuale dell’Istat ha attirato l’attenzione sull’aggravamento di questo fenomeno per effetto della pandemia. Purtroppo, la situazione sembra destinata a peggiorare ulteriormente a causa dell’invasione dell’Ucraina. L’Istat ha messo in luce in particolare la crescita della povertà assoluta. Essa è raddoppiata dal 2005 arrivando a includere quasi due milioni di famiglie (il 7,5 per cento del totale). Le persone in povertà assoluta sono triplicate dal 2005 e sono cresciute nel solo 2020 di un milione raggiungendo i 5,6 milioni (il 9,4 per cento del totale). Particolarmente colpiti, i minori, i giovani e il Mezzogiorno.
Come si spiega la gravità di questo fenomeno? Occorre anzitutto tenere presente che esso si inserisce nel più ampio quadro delle disuguaglianze di reddito, complessivamente aggravatesi in seguito alla pandemia. Da questo punto di vista si manifesta un curioso paradosso: l’Italia ha un grado di disuguaglianza vicino a quello degli Stati Uniti e del Regno Unito – paesi con una spesa pubblica sociale più ridotta – ma con livelli di spesa e di tassazione che sono invece più simili a quelli scandinavi o tedeschi, dove le disuguaglianze sono nettamente più basse. In effetti, la capacità dei nostri meccanismi redistributivi di ridurre le disuguaglianze create dal mercato, a parità di spesa e di prelievo, attraverso tasse e trasferimenti, è più ridotta di quella della Germania o dei paesi nordici. Ciò è dovuto al fatto che il nostro sistema di welfare resta centrato sulle politiche passive: in particolare sulla spesa pensionistica (in assoluto la voce più elevata della spesa sociale) e sul sostegno del reddito di chi perde il lavoro. Prima della recente introduzione del reddito di cittadinanza e di quello di emergenza non c’erano misure significative per il sostegno a condizioni di disagio e di povertà (l’Istat ha stimato che pur con tutti i difetti questi strumenti hanno ridotto in misura significativa il rischio di cadere in condizioni di povertà).
Da notare che invece la spesa per politiche attive, volte a favorire l’inserimento al lavoro di donne e giovani, e a sostenere la formazione, la riqualificazione e l’innovazione, è la più bassa nel contesto europeo. Dunque la forte presenza della povertà assoluta e della disuguaglianza dei redditi, aggravate dalla pandemia, chiamano in causa con ancor più urgenza la necessità di intervenire in modo coerente sul sistema di welfare e su quello fiscale. Non si tratta di spendere di più ma di spendere meglio e di finanziare la spesa in modo più equo ed efficace. Certo un intervento politicamente difficile e costoso ma che potrebbe fare del welfare uno strumento più efficace per contrastare le disuguaglianze e insieme una leva di sviluppo per accompagnare e indirizzare le imprese verso la via alta dell’innovazione.
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