- La proposta di Enrico Letta di aumentare l’imposizione sulle eredità e destinare il gettito a beneficio dei giovani è un’efficace iniziativa di marketing politico, destinata a tenere il dibattito pubblico per un tempo non breve.
- Nella sostanza, si tratta dell’ennesima iniziativa estemporanea e di breve termine, che contrasta col programma di Mario Draghi di puntare a una riforma organica del fisco che segni un momento di svolta per il paese, come quelle degli anni Cinquanta e Settanta.
- Per “risarcire” le nuove generazioni per decenni di danni di politica economica non serve un bonus di poche migliaia di euro ma una visione complessiva che punti a riattivazione e riduzione della dipendenza dalla spesa pubblica: il gettito seguirà.
La proposta del segretario del Partito democratico, Enrico Letta, di istituire una imposta di scopo aumentando la tassazione su successioni e donazioni e destinando il gettito al futuro dei giovani di quella che, con spunto di marketing politico non troppo felice, viene definita “generazione Covid”, rappresenta certamente un ottimo spin, di quelli che catturano il discorso pubblico e monopolizzano il suo sfibrante dibattito per qualche tempo.
Su piani più sostanziali, l’idea appare coerente con quella visione di breve e brevissimo termine che la politica rimprovera alla finanza.
Un nuovo inizio
Obiettivo di Mario Draghi, dichiarato nella richiesta della fiducia parlamentare ma non è chiaro quanto realistico vista l’estrema eterogeneità della maggioranza, è quello di creare una riforma fiscale complessiva, come quella nata negli anni Settanta dai lavori della commissione Visentini-Cosciani, che a sua volta innovava la riforma Vanoni di inizio anni Cinquanta.
Una riforma fiscale segna una cesura nella vita di una comunità nazionale, un nuovo inizio. In ognuna delle ultime legislature, la maggioranza pro tempore ha presentato come “riforma” fiscale quelle che di fatto sono state solo variazioni al margine, spesso finalizzate a erodere la base imponibile Irpef per catturare porzioni di elettorato.
Cioè la proliferazione di quelle tax expenditure che a intervalli regolari si ipotizza di chiudere per ridurre le aliquote o, peggio, per comprimere il deficit, scatenando le politicamente insuperabili resistenze dei beneficiari.
Ogni partito ha una propria lista della spesa, sia in senso letterale, di erogazioni pubbliche, che di intervento su tributi. La proposta Letta è in assoluta continuità rispetto a questa fallimentare tradizione.
La suggestione della logica “risarcitoria” verso le giovani generazioni, che vengono invece impoverite ogni volta che governi e parlamenti decidono che un paese in depressione demografica debba risolvere i propri problemi riducendo l’età pensionabile e abbattendo il tasso di attività, potrà certamente far presa su parte dell’elettorato, assieme a quella che vede l’imposizione ereditaria come funzionale al precetto liberale di livellare le condizioni di partenza.
Le imposte altrui
In assoluta continuità con la tradizione italiana è anche il riferimento provinciale alle imposte altrui. Di solito funziona così: si prende il paese europeo con la tassazione più elevata su singoli tributi e si invoca l’equiparazione italiana ad esso. Mai il contrario, cioè che si scelgano a modello i paesi con minore pressione su singole imposte.
Ciò accade perché l’Italia è ormai con entrambi i piedi nelle sabbie mobili della decrescita, mentre l’inverno demografico del paese rende incomprimibili le maggiori voci di spesa pubblica. La ricerca di consenso fa il resto, con buona pace della mistica del “pagare tutti per pagare meno” che caratterizza la lotta all’evasione. Il vero slogan dovrebbe essere “pagare tutti per spendere di più”.
Nel frattempo, la pressione fiscale complessiva aumenta inesorabilmente, e con essa la corsa all’erosione delle basi imponibili.
La denatalità e il drenaggio del futuro delle giovani generazioni si contrastano con riforme del sistema educativo e fornitura di servizi a vasto raggio, in un ridisegno complessivo di welfare e fisco centrati sulla riattivazione e non sulla dipendenza da spesa pubblica.
Ma l’incoerenza temporale tra visione del futuro e angustie della prossima elezione produce questi esiti asfittici, dove lo strumento per “impedire che i nostri giovani emigrino” è un bonus di poche migliaia di euro.
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