Il tema della disuguaglianza e della giustizia sociale, in un mondo in cui i super ricchi pagano in proporzione al proprio reddito molto meno delle classi medie, riemerge con forza a ogni scadenza elettorale.

Classi medie stritolate

Nel 2019 l’Ocse pubblicava un rapporto significativamente intitolato “Sotto pressione: la classe media stritolata” che documenta come la classe media nei paesi avanzati abbia nell’ultimo trentennio perso terreno. Questo è spesso avvenuto in termini assoluti, con redditi stagnanti, il rincaro di servizi essenziali come l’istruzione e l’alloggio (i prezzi immobiliari, negli ultimi decenni, sono cresciuti tre volte più velocemente del reddito mediano delle famiglie), e una riduzione della copertura del welfare. Anche nei paesi in cui gli standard di vita delle classi medie sono in qualche modo stati protetti, queste hanno comunque perduto terreno rispetto alla parte più ricca della popolazione.

Negli ultimi 30 anni, i redditi mediani sono aumentati di un terzo in meno rispetto quelli del 10% più ricco della popolazione. Allo stesso tempo, in un mondo globalizzato, la tassazione si è concentrata sempre più sui fattori meno mobili (il lavoro, in particolare quello non specializzato) e sempre meno sui redditi più elevati e sul capitale. Detto altrimenti, il ruolo distributivo dell’imposta si è di molto ridotto, accentuando la disuguaglianza. Sono proprio le classi medie, prese a tenaglia tra i paesi emergenti che vogliono la loro parte della torta e le elites globali che riescono a rimanere sulla cresta dell’onda in qualunque situazione, che oggi hanno deciso di disdire un contratto sociale che non le tutela più e di votare in massa per partiti antisistema.

Pochi ma super ricchi

Il tema della giustizia fiscale si fa strada in molti paesi. Questo può essere spiegato intanto da una crescente consapevolezza dell'esplosione dei redditi di una manciata di persone: la ricchezza dei miliardari è triplicata dalla crisi finanziaria del 2008-2009, un periodo segnato da molteplici shock economici negativi e da una crescita globale più lenta che in passato. E poi, dall’impotenza dei sistemi fiscali nel correggere questa evoluzione attraverso la redistribuzione. Il fatto che, in molti paesi, i redditi da capitale siano tassati meno dei redditi da lavoro contribuisce a indebolire la progressività della tassazione ai vertici della distribuzione del reddito, dove i redditi da capitale sono fortemente concentrati. Soprattutto, è ormai noto che i più ricchi minimizzano il loro reddito imponibile, di fatto eludendo il fisco.

La pratica più comune è quella di lasciare il reddito all’interno delle società di cui sono proprietari, non distribuendo dividendi, e di finanziare i propri consumi tramite prestiti ottenuti dalle società stesse. L'imposta pagata in percentuale del reddito complessivo, dunque, finisce per essere molto più bassa per i più ricchi che per i redditi medi o bassi. Questo è particolarmente vero per le poche migliaia di persone ai vertici della distribuzione del reddito globale. I super ricchi, insomma, che pagano aliquote medie stimate intorno allo 0,3% del loro reddito complessivo.

Un approccio globale

Sotto la presidenza brasiliana, il G20 ha messo al centro della propria agenda la proposta di una tassazione globale su questa manciata di super ricchi. Il Diario Europeo ne aveva già parlato (10 marzo 2024) e da allora la proposta è stata meglio definita. La presidenza brasiliana ha infatti commissionato all’economista di Berkeley Gabriel Zucman un rapporto che ha poi condotto ad un’esplicita menzione, nella Dichiarazione del G20 di Rio de Janeiro del 25 luglio scorso, della necessità che “tutti i contribuenti, compresi gli individui con un patrimonio netto ultra elevato, contribuiscano con la loro giusta parte di tasse” Per poi affermare che “L'elusione fiscale aggressiva o l'evasione fiscale da parte di individui con un patrimonio netto ultra elevato può compromettere l'equità del sistema fiscale”.

Il rapporto Zucman sottolinea che i tremila miliardari di oggi hanno un patrimonio equivalente al 13% del Pil mondiale, mentre il patrimonio dei miliardari nel 1990 era equivalente al 3% del Pil di allora. La proposta del rapporto è di stabilire un tasso minimo di imposizione: chiunque pagasse in imposta sul reddito meno del 2% della propria ricchezza, sarebbe tassabile fino a salire appunto al 2%.

Il rapporto stima in circa 200-250 miliardi di dollari all'anno il gettito globale di una tale imposta minima. Delle cifre che potrebbero utilmente essere utilizzate, soprattutto nei paesi più poveri, per finanziare servizi pubblici e parte della transizione ecologica.

Obiezioni spuntate

L’argomento più spesso avanzato contro l’aumento delle imposte sulle grandi fortune è che queste possono essere spostate all’estero. La decisione del neo eletto presidente Macron di abolire la patrimoniale in Francia, nel 2017, si basava proprio su questo argomento. Ma questo argomento viene meno se, come auspicato dalla Dichiarazione di Rio, si adotta un approccio globale, come si è fatto nel 2021 sotto l’egida dell’Ocse con il (pur imperfetto) accordo tra 136 paesi per la tassazione delle multinazionali

Non c’è ovviamente bisogno che l’aliquota del 2% sui miliardari sia adottata da tutti i paesi. Basta che ci sia una massa critica di paesi che concordino delle procedure per identificare e valutare la ricchezza dei super ricchi e che adottino strumenti per tassarla indipendentemente dalla residenza fiscale. In questo modo si eviterebbero la fuga verso i paradisi fiscali e la corsa al ribasso tra i paesi che competono per attrarre le grandi fortune.

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L’altra obiezione al principio di una tassazione basata sulla ricchezza è che è difficile stabilire il valore di grandi fortune sparpagliate in molte giurisdizioni fiscali. Anche questa obiezione diventa spuntata nel quadro di un accordo globale e visti gli enormi passi avanti che sono stati fatti negli ultimi anni per scambiare informazioni tra le giurisdizioni fiscali. L'introduzione dello scambio automatico di informazioni bancarie, ad esempio, ha notevolmente ridotto la possibilità di nascondere al fisco patrimoni spostandoli all’estero. Insomma, gli strumenti necessari per far pagare ai miliardari del mondo un’imposta equa esistono. E con la dichiarazione di Rio abbiamo anche un’adesione di principio all’idea che ciò sia necessario e urgente.

Certo, alcuni paesi (come gli Stati Uniti, che preferiscono procedere con la legislazione domestica) sono ancora riluttanti. Ma, come per la tassazione delle multinazionali, stabilire il principio è stato il passo più difficile. Ora nessun paese del G20 potrà tirarsi indietro, e prima o poi si arriverà a far pagare ai super ricchi il dovuto. Sicuramente non sarà abbastanza per invertire la tendenza degli ultimi decenni, né per ristabilire sistemi fiscali più equi e una tassazione più progressiva. Ma è importante dare il segnale che la disuguaglianza eccessiva mina le fondamenta della nostra società, sia in termini di efficienza e di capacità di reperire risorse da destinare all’investimento produttivo, sia di coesione sociale.

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