- La vera storia del cul de sac in cui la destra ha infilato i balneari la racconta l’ex sottosegretario agli Affari europei, Vincenzo Amedola.
- Durante la travagliata stagione della maggioranza Draghi, Amendola aveva negoziato l’accordo con l’Ue, i partiti avrebbero potuto accettare e anticipare la sentenza del consiglio di stato.
- Quel rifiuto ora porta a una strana eterogenesi dei fini: non possono più prendersela con la matrigna Europa, ma con quelle toghe blu del Consiglio di stato e lo stanno già facendo.
I rappresentati dei balneari, dopo l’ennesima sentenza del Consiglio di stato che ribadisce la necessità di mettere a gara le concessioni e il primato del diritto europeo, dopo essersela presa per mesi con i soliti bersagli a partire dalla matrigna Europa, ora chiedono addirittura di aprire un conflitto tra istituzioni e poteri del paese, quasi al grido delle toghe, amministrative, rosse. E paradossalmente in questa vicenda sempre più surreale, pur non avendo ancora compreso con chi prendersela, almeno hanno capito che forse che non è verso la Commissione europea che vanno scagliati i loro strali.
La storia, infatti, va raccontata per bene e la racconta per bene Vincenzo Amendola, oggi deputato della Commissione Esteri per il Partito democratico, ma prima sottosegretario agli Affari europei durante la travagliata stagione del governo Draghi, quando l’esecutivo si è trovato a dover gestire una lettera di messa in mora da parte dell’esecutivo europeo per quello che non avevano fatto i governi precedenti. La lettera era arrivata giusto due mesi prima l’insediamento, nel febbraio 2021, dell’ex banchiere centrale come premier.
Allora i negoziati con la Commissione europea, furono affidati ad Amendola, che come molti altri membri del governo italiano prima di lui si prese la briga di far valere quelli che i politici chiamano «interesse nazionale» e che spesso sono più compromessi con in testa gli interessi, si perdoni il gioco di parole, di gruppi di interesse nazionali. Esemplare in questo senso l’accordo strappato dall’allora ministro dei Trasporti Graziano Delrio per la proroga delle concessioni autostradali, con la Aspi dei Benetton in testa.
L’accordo già incassato
In ogni caso Amendola dice di aver incassato un accordo con l’Ue e di averlo portato a Roma in dono alla maggioranza composita di quel governo.
«L’intesa», dice il deputato, «prevedeva che le concessioni venissero messe a gara, ma prevedeva anche margine di manovra e autonomia nella gestione delle gare e dei loro criteri. Quindi il problema non è stata la Commissione europea, ma piuttosto il fatto che i partiti di centrodestra della maggioranza abbiano rifiutato quella intesa. A questo punto è arrivato il Consiglio di stato».
Il sovranismo cieco e inefficiente di alcuni dei partiti della attuale maggioranza di governo ha portato a una eterogenesi dei fini: hanno fatto in modo che a pronunciare la sentenza definitiva sulla questione delle gare fosse il massimo e italianissimo organo della giustizia amministrativa, cioè quello che giudica l’attività delle amministrazioni pubbliche. Che può imporre limiti molto più stringenti della tanto odiata direttiva Bolkestein.
Il risultato è un classico esempio di eterogenesi dei fini: dovevano prendersela con l’Unione europea, inizio e fine di tutti i problemi dell’Italia secondo certa propaganda che nasconde il fatto che dietro la tecnica a Bruxelles c’è moltissima politica e spazio di compromesso, spesso purtroppo al ribasso. Ma ora per miopia e insipienza della classe politica a cui ha affidato la cura dei propri interessi, la lobby dei balneari è costretta a prendersela con una delle più importanti articolazioni del sistema del diritto italiano. Certo, questo non fermerà gli amanti della propaganda, avranno anche l’occasione di prendersela con i giudici europei, quando con tutta probabilità il 20 aprile ribadiranno sempre lo stesso ormai noioso concetto: le concessioni vanno messe a gara. Ma ora la loro lotta si è ampliata.
Antonio Capacchione, il presidente del Sib-Confcommercio che aveva difeso gli interessi della lobby di fronte al Consiglio di stato, perdendo, sostiene che «non solo è opportuno, ma anche necessario, che il parlamento sollevi la questione di conflitto di attribuzione contro le sentenze del Consiglio di stato davanti alla Corte costituzionale». La tesi, suggestiva, è che i magistrati amministrativi stiano privando il parlamento e il governo dei loro poteri. In tutto questo gli imprenditori balneari sono alla mercé dell’incertezza normativa in cui il governo Meloni e la sua maggioranza hanno fatto piombare tutto il dossier, con bocciatura del Quirinale, e doppia di quelle toghe rosse, o forse blu mare, del Consiglio di stato.
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