- In Cina c’è una videocamera ogni tre persone e il riconoscimento facciale, gli strumenti di controllo e sorveglianza che utilizzano i dati biometrici delle persone sono comuni.
- Anche negli Stati Uniti la dipendenza del governo americano da questo tipo di tecnologia è aumentata e stando a un recente rapporto è destinata a crescere ancora.
- Oltre a vaghe raccomandazioni per evitare gli abusi, la differenza tra le tecnologie americane e cinesi è soprattutto il prezzo.
In Cina c’è una videocamera ogni tre persone. Il riconoscimento facciale e gli strumenti di controllo e sorveglianza che utilizzano i dati biometrici delle persone, sono comuni, utilizzati per fare la spesa al supermercato come per controllare e reprimere la minoranza uigura. Gli Stati Uniti non sono certo la Cina. Tuttavia la dipendenza del governo americano da questo tipo di tecnologia di controllo e sorveglianza è aumentata negli ultimi anni, e stando a un recente rapporto pubblicato dal Government accountability office, la sezione investigativa del Congresso americano, è destinato a crescere ancora.
Il Government accountability office degli Stati Uniti (Gao) si occupa di valutare e monitorare temi di rilevanza nazionale. Nei giorni scorsi ha pubblicato un report di novanta pagine riguardo all’utilizzo della tecnologia a riconoscimento facciale da parte delle agenzie federali americane durante il 2020. Lo studio non solo offre informazioni importanti sull’attuale utilizzo della tecnologia, ma dà notizia di come molte delle agenzie governative abbiano intenzione di ampliarne l’adozione nei prossimi due anni.
Negli Stati Uniti il riconoscimento facciale è criticato da diverse organizzazioni a sostegno della privacy e dei diritti civili. In più la sua efficacia si è dimostrata meno accurata sulle persone di carnagione più scura, donne, giovani e anziani. «La sorveglianza facciale è uno strumento così invasivo per la privacy, e discriminatorio nei confronti delle persone di colore che il governo federale non dovrebbe utilizzarlo affatto», ha commentato alla MIT technology review un portavoce della associazione per i diritti digitali, Electronic Frontier Foundation.
Già nel giugno scorso la sezione investigativa del Congresso aveva dimostrato come all’indomani delle proteste nate in seguito all’omicidio di George Floyd e all’attacco di gennaio al Campidoglio 42 agenzie federali, statali e municipali che impiegano agenti delle forze dell’ordine avessero utilizzato questa tecnologia per identificare i sospettati. Di più. Aveva anche dimostrato come 13 delle 42 agenzie pubbliche non comprendessero ancora appieno l’uso che fanno di questa tecnologia.
Dallo stesso studio si scopre anche che diversi sistemi di riconoscimento facciale sono forniti da aziende private e tra queste ci sono anche aziende controverse come Clearview AI. Clearview Ai è proprietaria di un database di oltre tre miliardi di volti raccolti sul web senza il consenso degli interessati e, stando a una recente inchiesta di Buzzfeed ha avuto contatti con diversi corpi di polizia a livello mondiale, polizia italiana compresa.
Insomma non si tratta di una distopia. Certo ci sono delle profonde differenze ma l’adozione della tecnologia di riconoscimento facciale per motivi di sicurezza e controllo è una tendenza che cresce in occidente. E nonostante chi dice che la rapida diffusione di software di riconoscimento facciale nei luoghi pubblici serva alle forze dell’ordine per mantenere la sicurezza, questi strumenti possono essere utilizzati per eseguire un monitoraggio in tempo reale di chiunque e in ogni momento, come accade in Cina.
Questa tecnologia può minare alcuni dei principi democratici fondamentali, creando una potente infrastruttura chiavi in mano per una governance autoritaria. Al momento in America e altrove manca una legislazione specifica. Non esistono altro che raccomandazioni, prassi aziendali e la buona volontà delle forze dell’ordine nell'impedire il potenziale abuso.
«In Europa nel Gdpr non si parla nello specifico di dati biometrici e non c’è un chiaro fulcro legislativo che dica cosa possano fare o meno le aziende», dice Laura Carrer, ricercatrice per il centro Hermes sulla trasparenza e i diritti digitali. Non si sono date indicazioni chiare neppure quando è stata pubblicata lo scorso aprile la proposta dell’Unione europea sull’intelligenza artificiale. L’utilizzo del riconoscimento facciale è stato limitato alle sole forze dell’ordine in caso di emergenza, «però questo significa tutto e niente» perché si tratta di creare un’infrastruttura tecnologica da usare all’occorrenza, «senza che ci sia una chiara definizione di cosa questa occorrenza debba essere».
«Affermare che si possa utilizzare solo per questioni di emergenza rimane molto vago» spiega Carrer, «perché al di fuori di chi la polizia stia cercando lo stesso sistema di sorveglianza finisce inevitabilmente per identificare centinaia di persone che si trovano nella stessa area». Lo ha detto chiaramente anche il garante della privacy italiano lo scorso aprile quando ha dato un parere negativo circa l’utilizzo in tempo reale del sistema di riconoscimento facciale del ministero dell’Interno, o Sari: «È proprio a causa della forte interferenza con la vita privata delle persone che la normativa in materia di privacy stabilisce rigorose cautele per i trattamenti di dati biometrici e per particolari categorie di dati (ad esempio, quelli idonei a rivelare opinioni politiche, sindacali, religiose, orientamenti sessuali), i quali devono trovare giustificazione in una adeguata base normativa».
«Prendere per distopie molte delle innovazioni tecnologiche che provengono dalla Cina non è che il tentativo occidentale di esorcizzare il fatto che avvengano anche da noi», dice Simone Pieranni, giornalista e sinologo.
Certo, un intervento come quello del garante italiano «sarebbe impensabile» in Cina e questo «nonostante nell’ultimo anno si siano moltiplicate le richiesta da parte della popolazione di tutelare la propria privacy».
Secondo Carrer la differenza tra Cina e i paesi occidentali è ormai molto sottile. almeno sul fronte dell’offerta. «Se vogliamo liberare la questione da ogni tipo di ideologia o fazione l’unica cosa che cambia è il prezzo», dice perché, come ha dimostrato un report di Access Now, al di fuori di tutte le discussioni e le raccomandazioni date dai governi più o meno democratici le aziende americane, cinesi ed europee continueranno a vendere queste tecnologie di riconoscimento facciale in quei paesi come l’America latina, dove i buchi legislativi e l’accondiscendenza delle amministrazioni locali ne permettono l’utilizzo e la sperimentazione incontrollata.
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