La quota di occupati a tempo indeterminato è cresciuta nell’ultimo trimestre del 2023 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. È l’effetto del calo demografico, ma c’entra anche la legge Fornero
I nuovi dati Istat sul mercato del lavoro nel quarto trimestre del 2023 confermano un cambiamento che prosegue ormai da diversi trimestri, anche se non gli viene data la giusta importanza. Il primo dato è che aumentano le ore lavorate dello 0,8 per cento rispetto al trimestre precedente e del 2,4 per cento rispetto al 2022. E aumentano in tutti i settori. Un dato che smentisce le ricorrenti tesi su un mercato del lavoro in progressivo svuotamento.
È più interessante, però, indagare sui motivi di questa crescita, perché è il vero elemento di discontinuità che sta emergendo. Infatti, la crescita delle ore lavorate è legata all’aumento della quota di occupati a tempo indeterminato che nel trimestre crescono dello 0,9 per cento (più 145 mila) rispetto a quello precedente e del 3,3 per cento (ben 460 mila occupati in più) rispetto allo stesso periodo del 2022. Ma se guardiamo a dati ancora precedenti è più chiara l’importanza di quanto sta avvenendo, basti pensare che rispetto a dieci anni fa il numero degli occupati a tempo indeterminato è cresciuto di 1,47 milioni mentre quelli a termine sono aumentati di 779 mila, circa la metà.
Se prendiamo gli ultimi cinque anni gli occupati a termine sono rimasti stabili e i dati più aggiornati mostrano un calo e comunque numeri inferiori di circa 150 mila unità rispetto ai picchi del 2019 e della prima parte del 2022. In pochi avrebbero scommesso anni fa in uno scenario del genere, viste le forti tendenze alla flessibilizzazione del mercato del lavoro.
Effetto Fornero
Non è facile individuare le cause di questa trasformazione che sono molteplici. Il primo elemento da considerare è che nel corso dell’ultimo decennio abbiamo avuto un forte effetto trainante derivante dalla riforma Fornero che, aumentando l’età pensionabile, ha fatto sì che rimanessero più a lungo nel mercato del lavoro un numero maggiore di persone, in buona parte assunte quando il contratto a tempo indeterminato era la quasi normalità.
C’è poi, e questo è un elemento più recente che può spiegare la parallela stagnazione (e in parte il calo) degli occupati a termine, un tema di scarsità, in termini quantitativi, di offerta di lavoro generata dai primi evidenti effetti del calo demografico. Un numero inferiore di persone in età da lavoro e quindi una tendenza maggiore delle imprese ad utilizzare anche l’incentivo del tempo indeterminato per attrarre lavoratori così come la tendenza, che emerge dai dati di flusso, di una crescita delle trasformazioni di contratti a termine in contratti a tempo indeterminato.
Questo cambiamento porta con sé una crescita della polarizzazione all’interno del mercato del lavoro, come si nota anche dal numero di occupati a termine che resta comunque elevato. Infatti coloro con competenze inferiori e minor appetibilità per le imprese rischiano di restare intrappolati in una spirale di contratti di lavoro di bassa qualità che si reiterano di continuo.
Per questo è urgente rimettere al centro il tema della formazione e della riqualificazione dei lavoratori. In un momento storico di scarsità di offerta di lavoro è fondamentale imprimere una forte accelerazione ad iniziative che possano aumentare competenze e abilità delle persone affinché questo possa tradursi in lavori di qualità, a più alto valore aggiunto e quindi con salari e condizioni migliori.
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