Nella manovra pochi fondi e qualche provvedimento spot per favorire l’uguaglianza di genere tra i lavoratori. Così sempre più spesso sono le aziende a colmare i vuoti del welfare pubblico a favore dei propri dipendenti
A parole, il governo Meloni sostiene di voler sostenere le fasce più deboli, ma, di fatto, la Manovra per il 2024 appena approdata in Parlamento non fissa obiettivi a lungo termine né modelli di efficienza. E questo vale soprattutto per le misure in materia di welfare sul posto di lavoro. Allora tocca alle aziende, quelle che possono, coprire e farsi carico di un vuoto legislativo macroscopico.
E così, per esempio, le misure dei privati volte a valorizzare la genitorialità compensano la debolezza dei provvedimenti spot del governo e l’assenza nella legge di Bilancio di un disegno complessivo e lungimirante in tema di parità salariale, natalità, redistribuzione del tempo di cura e assistenza domestica, che guardi avanti e a beneficio delle nuove generazioni.
Con il rischio, questo sì a lungo termine, che il welfare privato perda la sua funzione integrativa del welfare pubblico per tornare indietro di un secolo, prima della nascita dei sistemi di assistenza pubblica, e assumere un ruolo sostitutivo o alternativo all’azione statale.
La parità di genere è diventata per molte aziende un obiettivo strategico e di politica aziendale. Al pari di altri servizi di welfare privato volti a garantire forme di sostegno indiretto al reddito. Ma con in più la possibilità di concretizzare quei diritti che, soprattutto per le donne, la legge non garantisce. Come l’uguaglianza sociale ed economica.
Il rischio è però quello di creare un’élite di lavoratori privilegiati con il beneplacito di chi governa, mentre proprio ieri, Eugenia Roccella, ministra della Famiglia, Natalità e Pari Opportunità, è tornata a ribadire, dal palco di Atreju, che il governo può agire «sul piano normativo, ma solo nei limiti delle risorse». Come dire, «faremo il possibile, che non è molto».
Privilegi per pochi
Molte aziende invece, nell’ambito dei piani di Diversity & Inclusion, hanno introdotto misure di sostegno alla genitorialità che prevedono per i propri dipendenti giorni aggiuntivi di congedo di paternità retribuito al 100 per cento rispetto ai 10 previsti dalla legge.Unicredit e Intesa San Paolo concedono 10 giorni di congedo in più.
I dipendenti di Crédit Agricole Italia che abbiano già usufruito di 10 giorni di congedo, e che abbiano deciso di fruire del congedo parentale facoltativo, potranno beneficiare di ulteriori 10 giorni di congedo per il 2023, che diventano 18 dal 2024, con il 100 per cento della retribuzione, grazie all’integrazione aziendale.La maison Gucci ha introdotto programmi di congedo parentale che garantiscono un minimo di 14 settimane con il 100 per cento del salario per il congedo di paternità.
Barilla garantisce dal primo gennaio 2024 per ciascun genitore 12 settimane di congedo retribuito al 100 per cento, indipendentemente dal genere, dallo stato maritale e dall’orientamento sessuale. Nel caso in cui gli standard legislativi locali siano più vantaggiosi, verranno applicate le normative del Paese. In Italia il congedo di paternità per i lavoratori Barilla verrà esteso dai 10 giorni previsti dalla legge a 12 settimane.
Padri in congedo
In Italia il congedo obbligatorio è un periodo di astensione dal lavoro, che per gli uomini è di soli dieci giorni retribuiti al 100 per cento. Il congedo parentale è invece facoltativo ed è previsto per entrambi i genitori.
Sul congedo parentale, la legge di bilancio 2024 aumenta l'indennità all’80 per cento per il primo mese di congedo e aggiunge un’indennità al 60 per cento per il secondo mese. Rimane invariato a soli dieci giorni il congedo obbligatorio di paternità totalmente retribuito. Un congedo paritario obbligatario contribuirebbe invece a introdurre una cultura della condivisione e una redistribuzione delle responsabilità di cura.
Secondo il rapporto di Save the Children 2023, sono le donne (53 per cento) a prendere più tempo di congedo parentale. Nel 37 per cento dei casi la scelta è dovuta al mercato del lavoro: per il 21 per cento lo stipendio inferiore a quello del padre e per il 16 per cento il lavoro del padre più promettente del proprio.
Nel 2022 le dimissioni convalidate dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro sono aumentate del 17,1 per cento rispetto a un anno prima. Il fenomeno riguarda soprattutto le donne, con il 72,8 per cento dei provvedimenti cioè circa 44 mila dimissioni convalidate, ed è legato strettamente alle difficoltà di conciliare i tempi di vita e lavoro.
Questioni di welfare
Tra i partiti di opposizione, la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein ha più volte proposto un congedo paritario, pienamente retribuito e non trasferibile. Un congedo, cioè, che sia obbligatorio, ed estenda ad almeno tre mesi gli attuali dieci giorni di congedo di paternità; retribuito per entrambi i genitori, al 100 per cento del salario, e non trasferibile, ossia obbligatorio sia per la madre sia per il padre, cioè paritario.
Questa proposta che si è poi concretizzata in un emendamento del PD alla legge di bilancio per il congedo di paternità da 10 giorni a 5 mesi e aumento dell’indennità per i congedi di maternità e paternità dall’80 per cento al 100 per cento della retribuzione.
Il welfare aziendale rappresenta già oggi uno strumento alternativo con cui le aziende possono integrare i salari dei dipendenti, usufruire di vantaggi fiscali e contributivi previsti dall’ordinamento vigente, ridurre così i costi e aumentare il potere d’acquisto dei dipendenti.
C’è anche il rischio, però, che alcuni diritti garantiti dalla Costituzione vengano garantiti garanzia a seconda delle politiche aziendali, diventando così dei privilegi. Lavoratori, in questo caso padri, che a parità di competenze e mansioni, finiscono per ricevere trattamenti diversi, in base alle politiche aziendali. Un modo insomma per creare nuove diseguaglianze sociali.
Le risorse del Pnrr
Da un lato, quindi, ci sono le imprese. Che attuano politiche di welfare per migliorare la gestione del business, la reputazione aziendale e la promozione della loro immagine, e incentivare la produttività del lavoro.Dall’altro il welfare pubblico sempre meno efficiente.
E quindi lo Stato che incentiva con provvedimenti fiscali e normativi forme integrative di welfare privato. Come la legge 162 del 2021 e i contributi alle micro, piccole e medie imprese (PMI) nell’ambito del Sistema di Certificazione della Parità di Genere previsto dal PNRR.
Il 6 novembre il Dipartimento per le pari opportunità ha pubblicato l’avviso pubblico per la concessione dei contributi a favore delle PMI per i servizi di certificazione della parità di genere. Le risorse totali assegnate al Dipartimento ammontano a 10 milioni di euro. Risorse che sono destinate a ridurre il divario di genere in aree come per esempio opportunità di crescita in azienda, la parità salariale a parità di mansioni e la tutela della maternità.
Già la legge 162 del 2021 prevedeva per le imprese che conseguano la certificazione della parità di genere, a partire dal 2022 e per 50 milioni di euro annui, un esonero dal versamento dei contributi previdenziali e il riconoscimento di un punteggio premiale per la valutazione, da parte di autorità che erogano fondi europei nazionali e regionali, di progetti per la concessione di aiuti di Stato.
Misure insomma di sostegno al welfare privato. Migliorative certo. Ma non sufficienti e non per tutti.
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