I bilanci dell’Anas, oggi parte del gruppo Ferrovie dello stato, sono basati sull’estensione di una concessione che oggi non esiste. Per risolvere il problema il ministero delle Infrastrutture ha proposto di introdurre la contabilità separata tra attività pubblica e introiti da mercato. Ma l’avvocatura dello stato ha congelato il progetto. E l’azienda resta nella palude.
- Il ministero delle Infrastrutture ha proposto per l’Anas la separazione contabile sul modello di Rai e Poste per aggirare il pastrocchio creato con l’incorporazione dell’azienda delle strade in Fs.
- Infatti nel bilancio di Anas è contabilizzata una estensione della concessione che non esiste.
- L’avvocatura dello stato però ha congelato l’idea lasciando l’azienda delle strade nella palude.
Non c’è pace per l’Anas. Come in un estenuante gioco dell’oca si torna al punto di partenza proprio quando al ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili (Mims) si erano illusi di aver escogitato la soluzione che avrebbe spianato la strada alla nomina dei nuovi vertici attraverso la divisione dell’azienda in due parti con contabilità separate, sul modello Rai e Poste.
Invitata a esprimere un parere, l’avvocatura generale dello stato però ha praticamente congelato la proposta. L’Anas resta nella palude, con il gruppo di comando scaduto da sei mesi e attivo solo per l’ordinaria amministrazione, proprio nel momento in cui l’azienda delle strade dovrebbe essere il propulsore degli investimenti stradali miliardari del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
Lo stallo è il frutto tardivo di una mossa suicida risalente a tre anni fa: l’incorporazione dell’Anas nelle Ferrovie dello stato con annesso un fantasioso apporto di capitale di circa due miliardi di euro calcolato su un’estensione della concessione statale dal 2032 al 2052 che però non esiste.
I bilanci Anas e a cascata quelli della capogruppo Fs basati su questi presupposti infondati sono di fatto falsi da anni e con questo cappio al collo l’azienda delle strade non può andare lontano. Trovare una soluzione è un imperativo categorico, forse l’unica praticabile e trasparente sarebbe quella di ammettere che il pastrocchio è sanabile con una svalutazione del capitale di almeno un miliardo e mezzo di euro. Ma la svalutazione è proprio ciò che ministero, Anas e Fs hanno fin qui escluso tentando di percorrere strade alternative che si sono rivelate illusorie.
Separazione contabile
Alcuni mesi fa la capogruppo Fs aveva quasi intimato inutilmente al ministero di farsi promotore di una legge risolutiva ad hoc. Nel frattempo allo stesso ministero ora guidato da Enrico Giovannini avevano sperato di trovare una sponda nell’avvocatura generale dello stato a cui era stato chiesto un parere circa la possibilità di allungare automaticamente la concessione dal 2032 al 2052.
Il parere negativo
A giugno l’avvocatura ha fornito una risposta di segno opposto a quella auspicata. L’avvocato generale Gabriella Palmieri Sandulli ha dato «parere negativo sulla possibilità per codesto ministero (delle Infrastrutture ndr) di procedere alla sottoscrizione di una nuova convenzione unica con Anas spa con scadenza al 31 dicembre 2052, in presenza di un nuovo piano economico finanziario».
Ancora una volta tutto da rifare. A metà settembre il capo di gabinetto del ministero delle Infrastrutture, Alberto Stancanelli, è tornato alla carica con una lettera di due pagine indirizzata all’avvocatura e per conoscenza alla presidenza del Consiglio, al ministero dell’Economia, agli amministratori di Fs e Anas, contenente una soluzione che puntando ancora sull’allungamento ventennale della concessione avrebbe eluso il nodo della svalutazione del capitale. La soluzione consisteva nella «legittima prosecuzione della concessione di servizio pubblico in capo ad Anas Spa… attraverso lo strumento della cosiddetta separazione contabile tra le attività di natura pubblicistica e quelle di natura privatistica».
Dopo essere stata annessa a forza nelle Fs, l’Anas in sostanza sarebbe stata di nuovo trasformata con una legge apposita in una società sul modello Rai e Poste dove la separazione esiste e c’è una contabilità ad hoc certificata da una società di revisione che permette di distinguere i conti della parte a mercato da quelli inerenti al servizio pubblico. Ma mentre alla Rai e alle Poste gli introiti da mercato ci sono sul serio – la pubblicità alla Rai, i servizi finanziari e altro alle Poste -, all’Anas di mercato ce n’è poco o punto e l’azienda vive di trasferimenti pubblici.
Forse per correggere questo stato di fatto i dirigenti dell’azienda sono stati di recente messi di nuovo al lavoro sull’ipotesi di pedaggi sul Grande raccordo di Roma visti come il sistema più immediato e semplice per ottenere incassi dal mercato.
L’illusione dei pedaggi
Con un parere del 30 settembre sempre a firma Gabriella Palmieri Sandulli l’Avvocatura dello stato non ha escluso in linea di principio la possibilità che Anas possa incassare i pedaggi sul Gra o anche sulla Salerno-Reggio e neanche ha bocciato a priori l’idea della separazione contabile. Solo che ha sottoposto entrambe le ipotesi a vincoli tali da renderle impraticabili, almeno nei fatti e per il momento.
Per i pedaggi l’Avvocatura ritiene che Anas se volesse potrebbe partecipare a una gara pubblica, cioè concorrere con i giganti del settore autostradale nella speranza assai improbabile di poterli battere.
Per quanto riguarda la norma per la separazione contabile sul modello Rai e Poste, anche questa secondo l’Avvocatura è teoricamente fattibile, ma deve «essere necessariamente subordinata alla previa interlocuzione con i servizi della Commissione europea competenti».
Anche ammesso che l’Unione europea alla fine dica sì, la procedura sarà lunga, nel migliore dei casi mesi, probabilmente anni. Intanto l’Anas è bloccata e i suoi bilanci restano falsi.
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